Il Capitale Umano

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C’è un grande lavoro dietro Il Capitale Umano. Profondo, intergenerazionale, di ricerca sociale, economica. Siamo di fronte ad un’indagine quasi antropologica. La Brianza di VirzÌ diventa così un luogo definito e limitato là nel Nord evoluto, tra gli orfani di una passata sazietà e i figli di una rinnovata disperazione. Ma purtroppo è una Brianza che è dentro di noi, e ce la ritroviamo nello stomaco dalla prima scena delle pulizie della cena di gala, fino al party consolatorio della scena finale: come una gastrite.
Il Capitale Umani è un film importante, non un capolavoro (molto lontano dall’esserlo) ma non fatto per piacere, piuttosto direi che è fatto per capire, un pretesto artistico per viaggiare nell’anima dell’Italia, per scandagliarne meandri oscuri.

Qualcuno a proposito di questo film ha citato La Tragedia di Un Uomo Ridicolo. Si, anche a me ha ricordato qualcosa di quel cinema, anche se non si possono mai fare confronti così lontani: ma Tognazzi sarebbe stato un protagonista perfetto in questa storia.

Io considero questo film un affresco inquietante e racconta come mai prima un pezzo della nostra decadenza. Lo fa con coraggio, perchè tiene lo spettatore a disagio, non lo lusinga, non lo circuisce: gli fa far fatica. Si sta lì come su una sedia instabile e senti che in ogni momento ci puó essere una caduta. Invece questo equilibrio resta fino alla fine, anzi diventa l’elemento di forza di questo thriller delle coscienze.

Ma è anche un film molto politico, quasi partitico. Quando l’ideologia sinistroide parlava della cultura profonda prodotta dal berlusconismo – in particolare i girotondi di Moretti sono cresciuti su questo concetto – identificava un fondo di verità. VirzÌ – non immune da fremiti movimentisti – ce lo rappresenta in questa storia: il desiderio del denaro, della scalata sociale, la finanza senza cuore, la marginalità della donna, l’irrilevanza della politica, il degrado della cultura… Evita – per quanto gli è possibile – schematismo e dogmatismo, ma sceglie una strada “gramsciana” (pardon) mostrando un disprezzo distaccato verso l’indifferenza che la crisi ha prodotto nelle coscienze (anche degli intellettuali di sinistra, ormai disposti a scambiare scampoli di impegno per una scopata). Lo fa spietatamente, ma delicatamente (come una buona infermiera quando fa i prelievi di sangue)

È uno dei film scritti meglio in italia in questo secolo: “riesce ad andare in profondità nonostante una misura, una leggerezza un equilibrio difficili da raggiungere”, ho scritto a Francesco Piccolo, appena uscito dal cinema. Trovare leggerezza e profondità insieme non è mai facile, ma è ancor più difficile in un racconto corale come questo.

Gli attori sono bravi e azzeccati. Fabrizio Bentivoglio è il personaggio chiave del film. Ecco, pur mostrando indubbie qualità a me è sembrato eccessivo, troppo maschera nel contesto del racconto. In un dipinto ad acquarello, lui è disegnato ad olio. “È davvero sgradevole” – dice di lui il Bernaschi – lo deve essere, ma trovo la sua figura troppo stridente nella vita quotidiana: la pasta dell’immobiliarista Dino Ossola non si puó combinare con quella di Roberta Morelli (una sorprendente Valeria Golino, grandissima attrice non protagonista), la psicologa con cui convive. Insomma ho visto che per molti l’interpretazione di Bentivoglio è un punto di forza. Io lo trovo il punto di debolezza del film.

Fabrizio Gifuni è perfetto e Valeria Bruni Tedeschi fa la sua migliore interpretazione di sempre.
Insomma non siamo di fronte al solito Virzì: toscano, cazzone, intelligente e furbo, dolce e amaro: cresciuto alla grande scuola della commedia all’italiana. È un VirzÌ ambizioso, molto maturo e con un respiro internazionale. Vuole raccontare cosa è diventata l’Italia e lo fa con un coraggio inedito per un uomo di sinistra.
Darei 7 a Il Capitale Umano, ma la prossima volta serve un po’ di Maalox.