Ombre (di Massimo D’Alema)

Ott 07, 14 Ombre (di Massimo D’Alema)
Massimo D’Alema
Presidente della Fondazione ItalianiEuropei, ex Parlamentare, Vignaiolo
La nostra prima volta. Lo avevo visto da lontano diverse volte a manifestazioni e congressi: era il Principe della FGCI. Ma in un’occasione drammatica andai con altri compagni a casa sua, a Bari, era il 20 luglio del 1984.
Ombre
Al Cairo sotto il sole di mezzogiorno, nell’agosto del 1994.
La foto. Era mezzogiorno o l’una al massimo. Era caldo e salire nel giro delle mura della moschea fu faticoso, ma molto emozionante. Non avevo pensato così questa foto, e la mano alzata quasi a voler acchiappare l’ombra dei minareti mi ha intrigato.

 

 

Il Cairo, 1994

Il Cairo, 1994

C’è uno stridente contrasto tra la serenità dell’immagine nel luogo di culto islamico fissato in questa fotografia e la cruenta attualità di cui ogni giorno abbiamo notizia da quella martoriata regione. Questo scatto evoca in me la profonda discrasia tra la naturale tranquillità che si è vissuta sotto il sole arabo, almeno in una parte di quel mondo, e la barbarie di oggi, che tutto lo attraversa. Come è potuto accadere che in un tempo così breve si sia passati dalla prevalente serenità dell’Islam a una tale minaccia per la sicurezza mondiale? Per sua natura quella islamica è una religione inclusiva. Nella Moschea degli Omayyadi, la più importante di Damasco, troviamo un minareto dedicato all’imam Gesù, considerato dai musulmani una personalità meritevole di rispetto. Ma volendo guardare ancora più indietro, se noi oggi conosciamo Gerusalemme come la città santa per l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam lo dobbiamo alla visione aperta di Solimano il Magnifico, che garantì la libertà religiosa quando conquistò la città nel 1517. Tutt’altra cosa rispetto a quando, quattrocento anni prima, i crociati, conquistando Gerusalemme, massacrarono l’intera popolazione.

Il fondamentalismo radicale è un fenomeno recente. E’ una reazione al timore di un’assimilazione culturale da parte dell’Occidente. Timore alimentato ancor più dalla globalizzazione, che se da una parte ha permesso a milioni di persone di informarsi, connettersi e partecipare, dall’altra ha provocato un’onda violenta di intolleranza.  In questo contesto tumultuoso appare evidente che le politiche dell’Occidente, in primo luogo quelle perseguite dagli Stati Uniti, si sono fondate su un presupposto ideologico sbagliato: il principio che il modello di democrazia occidentale sia esportabile.

D’altra parte i cambiamenti non si improvvisano. La democrazia  nella quale viviamo è il frutto di una lunga e drammatica storia: secoli di guerre di religione, totalitarismi e due guerre mondiali. Solo alla fine di questo percorso è arrivata la democrazia. I conflitti etnico-religiosi che tormentano oggi il Medio Oriente richiamano alla memoria i conflitti che hanno insanguinato l’Europa per un lungo periodo storico.  Pretendere di esportare il nostro modello democratico è stato un drammatico errore, aggravato sia da un’analisi superficiale delle forze in campo e degli equilibri regionali, sia dalle risposte caotiche che ne sono conseguite. E’ noto che Osama Bin Laden collaborò con gli Stati Uniti contro i sovietici invasori dell’Afghanistan, e che all’inizio Hamas fu considerato con favore da importanti settori della classe dirigente israeliana nella convinzione che potesse indebolire Yasser Arafat e la sinistra moderata palestinese. Fino agli aiuti che Washington ha dato ai ribelli siriani contro Bashir al Assad, senza rendersi conto del fatto che in breve tempo alla guida di quel movimento si erano installati proprio quei gruppi estremisti che oggi rappresentano una impressionante minaccia che dobbiamo combattere, trovandoci così, paradossalmente, dalla stessa parte del regime di Damasco. Continuiamo ad alimentare mostri che poi dobbiamo combattere.

Il grande problema del Medio Oriente è costruire le condizioni della convivenza religiosa e della pace. Credo che un esempio da guardare con attenzione sia quello del Libano, un paese che dopo una lunga e tragica guerra civile ha saputo ricostruire un difficile equilibrio interreligioso. Con intelligenza e lungimiranza la Costituzione libanese garantisce tutte le componenti religiose, a prescindere dai risultati elettorali, prevedendo che il presidente della Repubblica sia cristiano, sebbene i cristiani maroniti costituiscano una minoranza, che il primo ministro sia un musulmano sunnita e che il presidente del Parlamento sia sciita.

Quindi la sfida della convivenza si può vincere. E l’Europa, che trae uno suoi principi fondanti dal “Trattato sulla tolleranza” di Voltaire, ha una grande responsabilità: lavorare per favorire una stabilità fondata sul rispetto reciproco. Si tratta dunque di un compito storico, arduo, per il quale servono coraggio, forza e competenza, senza furbizie e scorciatoie.