Lavoratori (di Susanna Camusso)

Ott 25, 14 Lavoratori (di Susanna Camusso)
Susanna Camusso
Segretaria della CGIL
La nostra prima volta. Alla festa nazionale de l’Unità di Pesaro nel 2006. Parlammo di televisione e di web.
Lavoratori
Cina, 1991
La foto. Non era il Medio Evo, ma gli anni ’90 del ‘900…

 

 

Cina, 1991

Cina, 1991

Abiti semplici, leggeri forse troppo, piedi nudi o ciabatte, pompe, passerelle un po’ così, eppure è un cantiere. Un cantiere a bordo fiume con un argine di sacchi di sabbia – parrebbe – lo assoceremmo alla preoccupazione di una piena, non ad uno scavo con pareti nude.

I volti non restituiscono lo sguardo, sono chini, concentrati sull’equilibrio dei bilancieri, sui passi da fare, eppure guardando quegli uomini è forte la sensazione che alcuni siano piccoli, troppo piccoli per portare grandi ceste in testa. I bambini non dovrebbero giocare, studiare?

Una fotografia viva e piena mi porta prima a “perdermi” in alcuni particolari, seguendo pensieri, ma quale sicurezza, il peso dei bilancieri, i tubi da saltare, quanta fatica, quanta fisicità in quel lavorare.

Mentre i pensieri fissano il divario tra condizioni di lavoro e sicurezza, sulla geografia di un cantiere affollato, la fotografia torna a farsi guardare nel suo insieme. Restituisce i corpi ridisegnati dai bilancieri, l’appoggio alle vanghe, le schiene piegate, tutto a mani nude.

Una foto molto simile è nei miei ricordi del viaggio alla scoperta della Cina, non certo pionieristico era il 1985. Mi torna in mente con il contrasto di allora, tra lavoro di dura fatica e l’affacciarsi a tecnologie e innovazioni. Il costruire ovunque, e la fragilità degli uomini nei cantieri. L’idea di un mondo in straordinario cambiamento, un “progresso” che doveva portare con sé un lavoro diverso, da adulti, che alleviasse la fatica, rendesse liberi, più sicuri, non piegati.

Non c’è la controprova, la fotografia riscattata tanti anni dopo, per cercare le differenze, che sono innumerevoli, sicuramente, ma le cronache che quotidiane ci rimandano troppo spesso storie di sfruttamento, di non libertà, di lavoro più servile che libero.

Tornare ai particolari, allargare lo sguardo sull’insieme, osservare il lavoro e la sua fatica per dirci ogni giorno che qualità del lavoro e libertà, dignità delle persone non sono uno scatto in bianco e nero, sono una ragione per cambiare il mondo.