Il bunker (di Paola Zampini)

Nov 01, 14 Il bunker (di Paola Zampini)

Paola Zampini 
Funzionaria RAI
La nostra prima volta. Sembra sempre arrivare per caso, ma in realtà è una donna assai accorta e vivace. Viaggia per il mondo e ha delle basi a Parigi, Nizza e in Argentina. 

Il Bunker
Parigi, 2011
La foto. Per anni ho avuto in agenda la visita a questo “monumento ai caduti” ma per un motivo o per l’altro mi sfuggiva. Poi l’obiettivo l’ha fermato. Un angolo parigino che vale la pena vedere.

 

 

Parigi, 2012

Parigi, 2011

Le Poisson Rouge

La sede del Partito Comunista Francese è ancora a Place du Colonel Fabien nel decimo arrondissement di Parigi. Guardando l’escargot, i venti arrondissement che formano Parigi, la piazza è al centro dell’asse nord est della città. La linea 2 della Metropolitana che ferma proprio a Colonel Fabien è una delle linee più vecchie. Chi abita nel quartiere prende questa linea per andare a Place de la Nation o per andare a Montmartre. La prima fermata è Jean Jaurès, l’altra è Place Stalingrad al bassin de la Villette. L’intero perimetro della linea 2 passa su le Mur des fermier generaux, l’antica cinta muraria costruita prima della Rivoluzione.  Su Place Colonel Fabien se ne vedono le tracce al n.7. Su Place Stalingrad c’è ancora la Rotonde de La Villette, una delle porte d’entrata della cinta muraria dal bassin de La Villette.

La costruzione del bassin, uno dei porti del canale Saint Martin, collegamento tra l’Ourq e la Senna, inizia nel 1800 e termina più di 100 anni dopo. Il canale serviva a portare l’acqua potabile in città ma ben presto i docks cominciarono a popolarsi di stabilimenti  industriali per la lavorazione del vetro, della ceramica, della carta, del sapone e di magazzini per le derrate alimentari.  Insieme alle fabbriche è arrivata la manodopera, gli operai, gli addetti al trasporto delle merci e il canale Saint Martin con il suo sistema di chiuse prima di arrivare alla Senna consentiva di fermarsi all’Hotel du Nord frequentato prevalentemente dai marinai in cerca di compagnia. 

Nella Parigi ottocentesca i dintorni nord della piazza Colonel Fabien hanno una connotazione popolare. Nella vicina collina di Belleville “gauchista” fin dalla Comune di Parigi, nel 1895 Léon Gaumont apre un laboratorio per la produzione di apparecchi e materiali per la fotografia, un atelier di 200 mq vicino al parco Buttes-Chaumont con una dozzina di lavoranti. Nel 1912, in rue de la Villette 55,   negli studi cinematografici  Gaumont dove Louis Feuillade  realizzerà, tra le altre  la serie Fantomas in 3 episodi, lavorano circa 1500 persone.  In rue de la Villette c’è la più grande fabbrica di scarpe di Parigi, con 700 lavoratori.  Nei primi anni del 1900 questa zona è densamente popolata e con una forte presenza operaia.  Come Vincenzo Peruggia, italiano,  imbianchino, che lavorando al Louvre non sa resistere al suo istinto rivoluzionario e sottrae la Gioconda per restituirla all’Italia. Abitava nella piccola e defilata Rue de l’Hopital Saint Louis, come tanti altri.

La prima grande ondata d’immigrati arriva dopo la prima guerra mondiale e porta nella zona “industriale” tra la Gare de l’Est e Belleville armeni e mediorientali. I nordafricani arrivano dopo la seconda guerra mondiale. Tutti s’integrano benissimo nella zona operaia. Belleville diventa esempio di convivenza civile, di stile di vita orientale per la straordinaria pacifica coabitazione di ebrei e musulmani. Nel 1960, con la terza ondata d’immigrazione di ebrei tunisini e di magrebini comincia qualche problema. Nel 1968 questa zona risente del clima di contestazione che aleggia in tutta la città. Scoppia una sommossa. Si scontrano ebrei e musulmani di origine tunisina. Algerini e magrebini. Le armi sono quelle della guerriglia urbana: bottiglie, coperchi dei bidoni dell’immondizia (ancora indifferenziata) spranghe.  Le autorità religiose intervengono tutte, così come i capi delle varie comunità e le associazioni per i diritti umani. Visitano il quartiere l’ambasciatore algerino e tunisino. Nessuno vuole che il cosmopolitismo di Belleville vada in frantumi. I deputati comunisti della zona invitano tutti alla calma. Ma il tessuto sociale che le vite precarie del canal Saint Martin e di Belleville hanno intrecciato è arcaico, solido e un po’ conservatore.  Questi disordini non hanno nulla a che vedere con la protesta degli studenti borghesi della Sorbona. Nel giro di qualche mese è tutto finito. Nel 1971, nel momento dell’inaugurazione della nuova sede del Partito comunista francese nel quartiere prevalgono ancora gli ideali di lotta comune contro la miseria, la discriminazione e l’ingiustizia.

Prima di essere dedicata a Colonel Fabian si chiama Place du Combat  L’intero quartiere si chiama  quartier du Combat. La piazza e i dintorni, se si scava nel passato, hanno un che di sinistro (prima ancora che di sinistra). Il nome si riferisce ai combattimenti degli animali, tori, cani, galli, maiali scimmie che si svolgono dalla metà del 1700 al 1850 quando sono vietati. Il circo per i combattimenti si integra nella cinta muraria, ma è costruito fuori dalla barrière Saint-Louis (chiamata anche barrière Combat du Taureau), fuori porta insomma. Sono spettacoli molto cruenti. Ci sono i macelli per gli animali vecchi e malati e delle cave che  diventano discariche per ogni sorta di scarto.  Lungo la Rue Grange-aux-Belle, nel medioevo viene posto in cima alla strada l’infame gibet de Montfaucon, un patibolo per esecuzioni collettive. Anche gli anni del Terrore e quelli della Comune lasciano molti morti sulla piazza e sulle strade adiacenti.

Nel 1941 il partigiano Pierre Georges uccide un soldato tedesco alla fermata Barbès Rochechouart, sempre nella linea 2 della metropolitana. E’ l’inizio della Resistenza francese. Nel 1945 quello stesso partigiano salta in aria nel tentativo di disarmare una bomba nemica. Questo è l’ultimo episodio violento, degno di essere  ricordato.  Pierre Georges ha un nome in codice, Fédro oppure Colonel Fabien. Dopo la Liberazione su richiesta degli abitanti del quartiere la piazza è chiamata Colonel Fabien. Per ricordare.

Negli anni ‘60 i dirigenti del Partito comunista francese decidono che è arrivato il momento di riunificare le varie sedi  sparpagliate in diverse circoscrizioni di Parigi.  A piazza Colonel Fabien c’è la sede  del Soccorso Francese. E’ una zona di rivendicazioni sindacali, di lotte operaie.  Il comitato Centrale del PCF decide che il posto per riunire il partito, per la sede unica, è questo: Place Colonel Fabien con tutta la sua valenza simbolica. Il Partito è forte e tocca il suo picco storico nel 1969 ottenendo il 21,5 dei suffragi. Il sindacato, molto presente nel quartiere operaio, è proprietario di una vasta area sulla Piazza, sufficiente a contenere la sede. Il progetto è quindi realizzabile.

Nella zona ovest di Parigi si costruisce il quartiere della Défense. Il “modernismo” cerca di attecchire anche nella zona Nord Est. C’è chi pensa di trasformare il canale Saint Martin in un’autostrada, un’arteria urbana a grande scorrimento. Ma tutte le associazioni che governano il quartiere  si oppongono. Si vuole preservare la zona, conservarla così com’è. André Malraux, ministro della cultura del governo De Gaulle, accoglie le mozioni delle associazioni e fa entrare l’intera zona sotto la tutela delle Belle Arti come patrimonio storico.

Ci vuole Oscar Nieymeyer per riuscire a portare una ventata di novità nel quartiere. Quando cominciano le trattative per la costruzione della sede unica per PCF, l’architetto è  una celebrità internazionale. Ha costruito la città di Brasilia. Si stabilisce in Francia nel 1965 perché in Brasile non riesce più a lavorare.  La sua richiesta di asilo politico è fortemente sostenuta da André Malreaux.  E’comunista e aderisce con entusiasmo all’idea di progettare la sede. L’importanza storica e architettonica dell’edificio è pari a quella dell’iniziativa intrapresa per costruirlo.

Per finanziare il progetto il PCF può contare sugli iscritti e sull’appoggio economico dell’Unione Sovietica.  Nieymeyer mette a disposizione la sua personalissima visione del mondo, etica ed estetica. Disegna quella che,  seguendo il suo rifiuto per  angoli e  linee rette, è in definitiva una bandiera. Cioè un rettangolo che sventola sinuosamente. Una curva morbida come quella di una donna, che  chiama Bunker.  Il palazzo è concepito interamente in funzione degli ideali dei quali il partito comunista si fa depositario: una società più giusta e senza classi, assenza di gerarchie persino tra gli spazi.

La cupola bianca che spunta nel prato antistante il bellissimo palazzo è la sala riunioni del Comitato Centrale. Come un bunker, l’entrata è nascosta ed è difficile da trovare. Però il palazzo è, interamente e avveniristicamente, di vetro e cemento. Una casa trasparente che riflette il cielo di Parigi. Alle critiche che arrivano Georges Gosnat, tesoriere del PCF, ribadisce con forza che la Sede del Partito Comunista Francese all’interno è molto semplice, senza fronzoli, senza lussi. Una casa di vetro per i lavoratori e per il popolo.

Il consenso sociale per il partito comunista francese diminuisce progressivamente dagli anni 80. Il numero degli iscritti si riduce sensibilmente. Con il crollo del muro di Berlino finiscono i finanziamenti da parte dell’URSS.  Per i dirigenti del PCF diventa impossibile mantenere il palazzo unicamente come sede di partito. Georges Marchais, segretario dal 1972, apre il bunker e comincia ad affittare.  La scelta dei primi inquilini tra i tanti che si presentano è misteriosa e selettiva. Il primo è una società di fumetti che va a occupare due piani.  Nel 2000,  con Robert Hue segretario, si avvicinano  i grandi marchi dell’abbigliamento. Si accettano i defilé di Prada, Dior, Vuitton. Viene rifiutato il proprietario di Chez Tati, la popolare catena commerciale di Parigi. I grandi artigiani, le grandi imprese francesi costituiscono una risorsa importante sia per i lavoratori che ancora sostengono il partito, sia per i molti che lavorano presso queste imprese.  Così, senza grandi contraddizioni il PCF continua ad esistere e a ospitare sfilate e mostre fotografiche.

L’intero quartiere cambia. Una nuova ondata di “immigrati” si riversa su Belleville e sul canal Saint Martin. Sono i “bobo”, borghesi-bohèmien che sentono un forte richiamo per questa zona di Parigi.  La Rotonde de la Villette su Place Stalingrad diventa un ristorante, sul bassin de la Villette in estate arriva  Paris Plage. Ci sono cinema, ristoranti, molti locali. Nel palazzo del popolo si susseguono manifestazioni culturali, all’interno della sala del Comitato Centrale viene girata la sequenza di un film che vuole rappresentare un incontro tra un ministro e dei rappresentanti sindacali.

Sul canal Saint Martin durante il weekend, quando i quai sono chiusi al traffico, si fanno i pic-nic.  E’ pieno di turisti che dai ponti guardano passare i battelli, pieni di turisti, e il funzionamento delle chiuse.  L’Hotel du Nord è un ristorante, Le Pont Tournant invece ha mantenuto la vecchia gestione, ma l’albergo non funziona più. Da Atmosphere si va per l’aperitivo e per l’intrattenimento musicale. 

Io abito al 112 di Quai de Jemmapes, dove il canale Saint Martin fa la curva. Sto qui da quindici anni, da quando un signore algerino mi ha venduto l’appartamento.  Aveva un bistrot, le Poisson Rouge, proprio a fianco al palazzo. Cucina tradizionale francese e cous-cous. Lascia entrambi, bistrot e casa, perché ormai alla pensione vuole andarsene in Algeria dove è nato ma non ha mai vissuto.  Del Poisson Rouge ora è rimasta solo l’insegna. Un pesce di metallo colorato, che si vede abbastanza o forse devi sapere che c’è altrimenti non lo vedi. Il vecchio bistrot è diventato tante altre cose in questi ultimi anni. Ma il pesce rosso è rimasto e viaggia indietro nel tempo, contro corrente.