Piazza Matteotti (di Fabrizio Zappi)

Gen 27, 15 Piazza Matteotti (di Fabrizio Zappi)

Fabrizio Zappi

Dirigente RAI

La nostra prima volta. Credo che lui facesse il liceo… Ad Imola quando si facevano le vasche ci si vedeva e ci si conosceva più o meno tutti. A Roma siamo diventati amici, esuli romagnoli, orgogliosi delle nostre origini.

Piazza Matteotti

Imola nel 2013

La foto. In realtà è un collage e se si dovesse ingrandire la qualità sarebbe più che buona… La piazza era restaurata da poco, dopo lo spostamento del monumento, da pochi mesi ed era (ed è) bellissima.

 

Imola, 2013 (iPhone)

Imola, 2013 (iPhone)

“Come più dolce ancora, l’esperienza vissuta, quando torna a essere, vent’anni dopo, una vita inventata”. Guardando questa foto Delfini scriverebbe così, nato e vissuto giusto un poco più in alto a sinistra, per me che rivedo mentalmente da Roma la mia terra, ma sempre lungo quella strada che chiude la piazza e che si chiama via Emilia. Una via percorsa milioni di volte, a piedi, in bicicletta, poi in motorino infine in macchina: coi nonni, coi genitori, con i compagni di scuola e gli amici più vari; per scacciare i troppi ricordi mi concentro sull’inquadratura e vedo quello che manca e realizzo che per la prima volta osservo l’immagine della piazza senza che vi troneggi l’obelisco. Pur essendovi tornato tante volte, solo ora che guardo la foto mi accorgo della rimozione, manco fossimo in Blow Up.
Collocato in epoca fascista, per me venuto dopo era sempre apparso inscalfibile, così scuro e roccioso come un meteorite, elemento costitutivo di un contesto di cui mi sentivo parte anch’io. Invece pochi anni fa è stato spostato. La sua assenza mi pare ora assumere significati esistenziali: inutile cercare quanto si è perduto, non a caso quando si ritorna le cose non stanno mai come le si immaginava. C’è sempre qualcuno o qualcosa che manca e cercare di dare un senso compiuto al ritorno a casa è sempre frustrante, l’incompiutezza è la sua cifra.
Dunque è meglio cristallizzare i ricordi, obelisco incluso, fantasticando dei sabati del villaggio dell’adolescenza e delle speranze che portavano: le infinite passeggiate sotto i portici, gli incontri, gli scontri, le visioni (di film, nei cinema oggi chiusi per far posto a banche e uffici), le apparizioni (femminili), i sogni, sì soprattutto i sogni, perché in fondo son quelli che fanno la differenza, specie fra chi parte e chi resta.
E chi parte non è migliore ma forse può migliorarsi perché mettendosi alla prova giunge più vicino a conoscersi, quindi a conoscere tutto quel che serve, dopo non rimane granché da scoprire.  Quando il tempo è passato e il destino di ognuno si è più o meno compiuto, ci si accorge che la nostalgia è un inganno e che non si era necessariamente più felici, poiché la nostalgia dei tempi andati è come il grandangolo usato da Claudio per questa foto, un potente grandangolo buono per contenere tutti i ricordi ma che non deve trarre in inganno l’osservatore ignaro: in verità questa piazza è piccina piccina… e allora saluto l’amico, compagno di mangiate da emigranti (encomiabile il suo bollito, commovente la zuppa inglese), con un consiglio rubato a Kierkegaard: “se la vita va compresa all’indietro, va vissuta in avanti”.