Stranger than paradise (di Lucia Guarano)

Feb 07, 16 Stranger than paradise (di Lucia Guarano)

Lucia Guarano

Giornalista e Scrittrice

La nostra prima volta. Alla libreria del viaggiatore, dovevo presentare il suo libro “La guerra è finita”, mi ero fatto l’idea di incontrare una timida, gracile, smunta e pallida ragazzina. Solo su timida avevo (parzialmente) ragione.

Stranger than paradise

Malibu, California (1994)

La foto. Era inverno in spiaggia. La posizione di quei ragazzi mi ricordava il manifesto del film, che nella mia memoria è meglio della realtà. Per questo evito accuratamente di tornare a vederlo. 

 

Malibu, California (1994)

Ascolta il mare, amico mio. Puoi ascoltarlo senza troppa paura, tanto il mare non ti giudica, almeno lui.  Possiamo restare qui anche tutto il giorno a contare le onde, che quelle, almeno, sei sicuro che arrivano. 

Qui non c’è niente da vincere, quindi per una volta possiamo anche perdere senza fare troppi drammi; perderci, abbandonarci alla sconfitta e magari capire per davvero che non è poi così male. Qui non ci serve neanche una scusa credibile, tanto vale smettere di cercarla e iniziare a contare.

Il sottofondo è quello giusto, quello che ti fa sentire al sicuro anche se poi, alla fine, io e te non ci vogliamo proprio stare al sicuro. Non ci sappiamo stare, anche se hanno provato in tutti i modi a insegnarcelo. E hanno fatto anche un buon lavoro, ma niente. Ci piace di più quando arrivano le onde, quelle alte, che ti portano a fondo. Forse restare a galla non ci basta. Perchè ricominicare a respirare quando sei al limite non ha lo stesso gusto che respirare e basta. E’ un’altra cosa, ha tutto un altro sapore.

Ripartire, ricominciare, rifare daccapo e poi disfare tutto e far finta che non sia successo nulla. Ci piace scrivere sulla sabbia, a me e a te, che tanto è uguale. Tanto le onde ti raggiungono comunque, anche in capo al mondo.

Odiamo tanto le maree, ma non riusciamo a starci lontano. Ne siamo irrimediablimente attratti e ci facciamo sempre trovare lì, pronti, quando si innalzano di nuovo. Così, come se tutto il dolore sparisse di colpo, cancellato, quasi come se non lo avessimo mai provato. Ci piace guardarle in faccia e sorridere, come se niente fosse.

Siamo fatti come le onde, io e te. Dobbiamo infrangerci a riva, farci in mille pezzi, prima di fermarci. Quando è troppo tardi. Quando l’unica scelta che ti è rimasta è quella di non scegliere. E poi rimettiamo insieme i pezzi e torniamo indietro, ci riproviamo ancora. E sì, ogni volta è diverso, ma è l’epilogo che resta sempre lo stesso. Perchè andare semplicemente avanti è troppo facile, ammettere la sconfitta non è contemplato.

E allora, per quello che vale, ascolta il mare amico mio. Puoi ascoltarlo senza toppa paura, tanto il mare non ti giudica, almeno lui.