Sacco e Vanzetti: 90 anni dopo un esempio che serve ancora

Ago 23, 17 Sacco e Vanzetti: 90 anni dopo un esempio che serve ancora

Era molto più anziano di come me lo ricordavo, ma forse il suo aspetto era minato da una malattia, e mi colpì il suo sguardo basso, rivolto verso il marciapiede. Camminava radente il muro, quasi ad accarezzarlo. Aveva una giacca scura. Mi sembrava leggero e si muoveva come uno che non voleva farsi notare. Era in via delle Botteghe Oscure, sotto la sede del PCI. Doveva essere la primavera del 1998. Certo lo avevo visto tante volte in originali televisivi, in piccole parti in film più o meno importanti. La sua voce, poi, era più nota del suo sguardo triste. Era Riccardo Cucciolla. Un grande attore italiano, di quelli di seconda fila, che per me, per sempre sarà il volto, la voce e il corpo di Nicola Sacco che gli ha dato Giuliano Montaldo.

Gian Maria Volontè, invece, lo avevo incontrato quando ero ancora bambino, alla Festa Nazionale de l’Unità di Roma del 1972. Lavorava come volontario, in mezzo ad una calca mostruosa, in uno stand dove vendeva pane e salsiccia ai militanti comunisti arrivati là per sentire il primo comizio di chiusura della festa, da segretario del PCI, di Enrico Berlinguer. Quella sua presenza là me lo rese indelebilmente mitologico, anche quando interpretava il cattivo nei film di Sergio Leone. Ma la sua faccia è e sarà sempre per me quella di Bartolomeo Vanzetti.

Scrivo oggi di loro perchè è la ricorrenza del 90esimo anniversario dell’esecuzione della condanna a morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. I due furono riconosciuti colpevoli di omicidio di un ragioniere e di una guardia di un calzaturificio di South Braintree, una ventina di miglia a Sud di Boston, in Massachusetts.

Opera di Ben Shahn:
Bartolomeo Vanzetti and Nicola Sacco, 1931–32. Guazzo su carta (il guazzo è un metodo che utilizza colori opachi mescolati con acqua, miele e gomma e si usa generalmente in dipinti di uccelli, paesaggi e piante).

Le cose che penso di sapere di loro, al di là di quello che si trova ad una prima rapida ricerca on line, sono qualcosa di profondo, che ha segnato la mia formazione e passano tutte per le emozioni che mi diede la visione del film di Montaldo, uscito nel 1971. Ricordo anche che mi portò a vederlo – con la mia grande perplessità – mia zia, al cinema Cristallo di Imola. Il monologo di Volontè/Vanzetti, ogni tanto lo vado a riascoltare, perchè fa ancora venire i brividi:

[Chiede il giudice:] Bartolomeo Vanzetti avete qualcosa da dire prima che la condanna a morte divenga esecutiva?
Sì: ho da dire che sono innocente. In tutta la mia vita non ho mai rubato, non ho mai ammazzato… Ho combattuto per eliminare il delitto, primo tra tutti lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo… Una frase signor Katzmann mi torna sempre alla mente: “Lei signor Vanzetti è venuto qui nel paese di bengodi per arricchire!”… Una frase che mi dà allegria. Io non ho mai pensato di arricchire. Non è questa la ragione per cui sto soffrendo e pagando qua dentro. Sto soffrendo e pagando per colpe che effettivamente ho commesso. Sto soffrendo e pagando perché sono anarchico… Perché sono italiano. IO SONO ITALIANO. Ma sono così convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, ed io per due volte potessi rinascere: rivivrei per fare esattamente le stesse cose che ho fatto… 

 Come la storia poi ha confermato le parole di Vanzetti erano vere e, 50 anni dopo l’esecuzione dei due anarchici italiani: il 23 agosto 1977, il governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, riconobbe la loro innocenza assolvendoli dal crimine a loro attribuito con queste parole «Io dichiaro che ogni stigma ed ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti».

(Apro una parentesi: 10 anni dopo quella dichiarazione che fa onore a Dukakis, si trovò a sfidare George Bush padre nella corsa alla Casa Bianca e perse in modo molto netto. Ho ritrovato una foto dove si vede uno dei cartelli della sua campagna elettorale, nella vetrina di uno street food a New York nel 1988)

 Non meno emozionanti sono diverse lettere che i due scrivono dal carcere durante i 6 anni di detenzione prima dell’esecuzione della condanna. Ne posto alcuni frammenti:
“Cara Virginia MacMechan,
una giocatrice di golf e di tennis fra i miei amici! E’ una riconciliazione del diavolo con l’acqua santa! Per la verità, non avrei mai pensato che una cosa del genere fosse possibile, ma lo è. Pazienza. Pochi anni fa, quando immaginavo questo mondo come un collegio di furfanti, guardavo i giocatori di questi sport con il più severo e terribile degli sguardi. Ma ora, che sperimento il divino candore del loro mondo, beh, ora li guardo in modo diverso…”
Bartolomeo Vanzetti
[… dalla prigione di Charlestown il 6 settembre 1923 alla signora Virginia MacMechan, di Sharon, Massachusetts che per gran parte dei sei anni di prigionia gli diede lezioni di inglese].
“Miei cari amici e compagni,
nella cella dei condannati a morte siamo appena stati informati dal comitato di difesa che il governatore Fuller ha deciso di ucciderci. Questa notizia non ci sorprende perché sappiamo che la classe capitalista non ha pietà per i buoni soldati della rivoluzione. Noi siamo fieri di morire e cadremo come tutti gli anarchici devono cadere. Tocca a voi ora fratelli, compagni. Come vi ho detto ieri, solo voi potete salvarci, non abbiamo alcuna fiducia nel governatore, perché abbiamo sempre saputo che il governatore Fuller, Thayer e Katzmann sono degli assassini. Cordiali e fraterni saluti a tutti.”
Nicola Sacco, 4 agosto 1927
“Mio caro Dante,
tuo padre non è un criminale ma l’uomo più coraggioso che io abbia mai conosciuto. Un giorno capirai ciò che sto per dirti, Che tuo padre ha sacrificato tutto quanto vi è di caro e di sacro per il cuore e per l’anima in nome della sua fede nella libertà e nella giustizia per tutti… non siamo criminali, ci hanno condannato con un complotto; ci hanno negato un nuovo processo; e se saremo giustiziati dopo sette anni quattro mesi e diciassette giorni di indicibili torture e ingiustizie è perché eravamo a favore dei poveri e contro l’oppressione dell’uomo da parte dell’uomo. I documenti sul nostro caso che tu e altri raccoglierete e conserverete dimostreranno che tuo padre e io siamo stati sacrificati a una ragion di Stato…”
Bartolomeo Vanzetti a Dante Sacco,  il 21 agosto 1927
Certamente la più celebre, e la più toccante è quella di Nicola Sacco al figlio Dante del 18 agosto 1927. 5 giorni prima di morire:
“Mio caro figlio e compagno,
sii forte per poter consolare tua madre, e quando vorrai farle dimenticare la scoraggiante solitudine voglio dirti quel che facevo io. Portala a fare una lunga passeggiata in campagna, cogliete qua e là dei fiori selvatici, riposatevi all’ombra degli alberi. Sono certo che lei ne godrà e anche tu sarai felice.
Ma ricordati sempre, Dante, nel gioco della felicità, non prendere tutto per te, ma scendi un gradino e aiuta i deboli che chiedono soccorso, aiuta i perseguitati e le vittime perché sono i tuoi migliori amici… In questa lotta della vita troverai molto amore e sarai amato”.