Le Rocca sforzesca (di Maurizio Andreoli)

Ago 25, 17 Le Rocca sforzesca (di Maurizio Andreoli)

Maurizio Andreoli

Giornalista

La nostra prima volta. Una presenza nel giornalismo imolese, diciamo che lo conosco dalla seconda metà degli anni ’80. Ha fatto crescere molti ragazzi ed è sempre stato affabile e disponibile. Non ci siamo mai frequentati molto ma nutro per lui rispetto e stima.

La Rocca Sforzesca

Imola autunno avanzato del 2013

La foto. La Rocca d’autunno come tutta la pianura padana, ha i colori delle foglie morte (come ha saputo raccontare Bernardo Bertolucci ne La tragedia di un uomo ridicolo). Anche se è fatta con l’iPhone, sono affezionato a questo scatto.

Imola, 2013

Ma no, non è possibile! Bravo, fatti riconoscere. Dai uno sfoggio della tua alta, invidiabile cultura. Ma come? Hai davanti agli occhi un’immagine della Rocca Sforzesca, un simbolo, un’icona della tua città, e anziché lanciarti in una documentata dissertazione su quello “splendido esempio di architettura fortificata tra Medioevo e Rinascimento” (così sta scritto sul sito dei Musei civici, ma fin lì ci saresti forse arrivato anche senza copiare), cosa ti viene subito in mente? Il calcio. Il dio pallone.
Ma no, non è possibile!
E invece sì. Se l’idea, se il gioco è esprimere i primi pensieri che si affastellano nella mente osservando l’immagine, adesso non puoi far finta di niente, non puoi barare perfino con te stesso. Al di là delle foglie rosse in primo piano, oltre il verde del prato, al di là dell’unica figura solitaria che cammina verso il castello, oltre le mura, le torri, il cielo grigio, gli alberi sulla destra, le palazzine del Lolli sulla sinistra… prima, molto prima di tutto questo, nel vedere la foto la tua mente è volata a un racconto che parecchi anni fa, quando eri bambino, ti fece tuo padre. E che ti sembrò talmente strano, assurdo, incredibile, da non poterlo più dimenticare. Proprio lì – ti disse – davanti all’austera Rocca, più volte su quel prato avevano furiosamente calpestato l’erba ventidue giovanotti con lunghi mutandoni e scarpe bullonate. O forse chissà, magari non erano proprio ventidue. Lo spazio non sembra poi così ampio.
Comunque è sicuro: un tempo davanti alla Rocca si giocava a calcio. Partite ufficiali, con tanto di arbitro, guardalinee (mica si chiamavano ancora assistenti) e tifosi. Era l’Imolese di allora. Te li sei immaginati tante volte, da quel giorno. Ti sei figurato le porte, gli spettatori (saranno stati quattro gatti, come adesso allo stadio), il pallone che sarà pur finito in continuazione in quel grande fossato. Già, ma la Rocca è stata successivamente restaurata. Chissà com’era in quegli anni. Chissà com’era l’ambiente circostante. E poi, quali anni esattamente? Dunque, tuo padre era del ’31. Le avrà viste quelle partite o gliele avranno raccontate?
La verità è che forse per paura di smarrire l’incanto di quella strana e affascinante storia, che un giorno si è accomodata in prima fila nella platea del tuo cervello (e da lì non se ne è più andata), non hai mai voluto approfondire. Sai solo che è vero. Ancora adesso potresti almeno cercare qualche vecchio amico di tuo padre. Potresti farti regalare un ricordo, un racconto che dia sapore alla tua Madeleine. Invece niente. Hai preferito fermarti lì. Facendo un torto perfino alla curiosità, cioè al sale del mestiere della tua vita.
Allora forza, lascia perdere il calcio. Per una volta fai una cosa politically correct. E’ la Rocca Sforzesca diamine! Dunque ragiona un po’ sugli Sforza, cita i Borgia, Leonardo. Ricorda quando il castello era un carcere e lo rimase fino ai tuoi 3 anni, mese più mese meno. Soffermati sul museo, sulle armi, i cannoni, la collezione di ceramiche. Oppure parla della prestigiosa Accademia pianistica che tuttora “vive” là dentro e dà lustro alla città. Fai almeno una citazione del buon cinema d’agosto all’aperto nel cortile interno. Insomma elevati un minimo dal solito, misero, maledetto pallone. Già, peccato che lo spazio sia finito.