Parole per Imola: Banda larghissima

Set 06, 17 Parole per Imola: Banda larghissima

Claudio Bergamini è fondatore e AD di Imola Informatica Spa, società di consulenza nata nel 19983 che oggi conta 90 dipendenti, e cofondatore di MokaByte, SensibleLogic, Antreem, LocalFocus, Cityshare, Texture, Fiduchain Capital. Svolge l’attività di consulente su Architetture Software critiche, processi di innovazione, organizzazione delle aziende di Knowladge Worker. E’ Technical Advisor di ABIlab, docente al Complexity Management Institute e CTO di Fiduchain Capital. In questa definizione di “banda larghissima” apre molte finestre sulla possibile definizione di un progetto per il governo della città che abbia al centro il tema dell’innovazione, davvero molto interessante. Grazie. (Cap)

 

BANDA LARGHISSIMA

La dimensione informatica, telematica e delle comunicazioni sono il fulcro della nostra società. La banda larghissima permette una connessione veloce ad Internet senza precedenti ed è la maglia che tiene insieme questo sistema. Nonostante le potenzialità dei servizi messi a disposizione dalla rete (come ad esempio i servizi online offerti al pubblico sul sito Internet del Comune) molti di noi le ignorano poiché non pensano che ci siano e per tale ragione occorre migliorare il rapporto delle persone con la tecnologia.

C’è una popolazione che usa poco i canali di ricerca mentre le possibilità del web sono molteplici e utili per affrontare la vita quotidiana. Sta a chi eroga i servizi far conoscere la propria realtà virtuale, renderla facilmente accessibile e rintracciabile. Esistono numerosi motori di ricerca utilizzati prevalentemente sul nostro spazio geografico e utili da sapere. Uno dei più attivi da segnalare è www.imolainrete.it, una community per Imola al cui interno è possibile elaborare approfondite ricerche geolocalizzate.

Le informazioni volano nell’etere ma bisogna saperle prendere. Quindi ben vengano le iniziative urbanistiche per rendere disponibili aree WiFi gratuite, ma siamo ancora nel limbo delle buone intenzioni: è necessario riempire di senso questi progetti. La nuova frontiera delle autostrade informatiche non deve farci dimenticare che se i dati viaggiano sempre più spesso in tempo reale i cittadini devono poter affinare le capacità di ricerca e andare oltre la lista dei siti più visitati. L’idea, insomma, di spargere in giro per la città la banda larghissima è sicuramente una buona cosa perché internet produce una massa di informazioni colossale ma rischia di restare in larga parte inutilizzata.

La terapia suggerita è una crescita di consapevolezza nell’uso di questo mezzo che passi dagli insegnamenti scolastici e dall’informazione degli enti pubblici e privati interessati a farsi conoscere. Chiave di volta sono i corsi di informatica, ma occorre pensare lezioni specifiche in base all’età. Un’iniziativa già messa in campo è “Coderdojo”, il corso gratuito che spiega la tecnologia. A bambini dai sette ai dodici anni viene insegnata la base per impratichirsi con la tastiera divertendosi e giocando con programmi studiati per l’infanzia, ma sarebbe interessante proporre anche una formazione simultanea tra nonni e nipoti per creare un momento di condivisione e apprendimento dove ci si possa aiutare a vicenda (peraltro i piccoli sono spesso bravissimi).

Un’altra linea d’attenzione andrebbe riservata alle scuole medie superiori. In molte classi l’informatica è già nei programmi. Alcuni studenti di questi corsi entreranno direttamente nel mondo del lavoro mentre altri con tutta probabilità continueranno a studiarla nelle università. Soprattutto per i primi occorre pensare dei corsi di tecnologia coinvolgendo anche le aziende e auspicando una relazione professionale con quelle che lavorano nella meccanicatronica (Sacmi per esempio) che oltre alle competenze meccaniche oggi devono avere anche quelle tecnologiche. Sarebbe opportuno promuovere percorsi formativi utili al lavoro perché  le aziende risparmierebbero la formazione aziendale assumendo da subito personale qualificato e operativo.

Un dato ufficiale non esiste ma ad Imola l’informatica si studia ancora poco. La città avrebbe bisogno di cento informatici l’anno, eppure le aziende del territorio – ce ne sono una cinquantina – soltanto per il 25% hanno del personale imolese specializzato nel settore informatico. Non fa eccezione Imola informatica, una delle maggiori aziende di informatica della zona, dove solamente nove persone su novanta sono di Imola. Decisamente poche.

Un altro problema riguarda il tema del dialogo tra università e impresa, ormai da tempo oggetto di discussione: le aziende non sono abituate ad avere rapporti con la ricerca. Se infatti la prima dovrebbe essere l’interlocutore privilegiato delle aziende quando si parla di innovazione, è altrettanto vero che i due mondi appaiono troppo distanti. Bisogna far imparare alle aziende ad avere contatti con la ricerca universitaria e confrontarsi con i dipartimenti a loro volta strutturati a ragionare, per loro natura, su progetti innovativi. In questo modo si potrebbe avere il vantaggio di trovare degli interlocutori sui temi che le aziende hanno bisogno di approfondire nonché la possibilità di avviare alleanze e collaborazioni meritocratiche su idee che gli atenei contribuiscono a tessere o promuovono direttamente. E’ quello che cerchiamo di fare con l’Open Living Lab in collaborazione con Innovami.

Da Solarolo è arrivato uno spunto poi diventato oggetto di studio universitario. Partendo dalla raccolta e dal riciclo delle cartucce usate per stampanti ci si è posto il problema della truffa commerciale dei cinesi che riescono a vendere le cartucce come se fossero riciclate mentre non lo sono.  E’ stato definito un progetto che ha ricevuto un finanziamento per l’innovazione, ed è stata coinvolta l’università di Bologna che è riuscita a risolvere il problema della contraffazione cinese elaborando una specie di etichetta: un tag anti-contraffazione con il costo adeguato. Il progetto, che ha poi costruito la piattaforma software per interagire con il tag è stato portato avanti con enorme successo fino a trasformarsi in una proposta di legge per premiare nelle gare chi è in grado di garantire l’autenticità del prodotto.