Il miraggio (di Sergio Bellucci)

Mar 03, 15 Il miraggio (di Sergio Bellucci)

Sergio Bellucci

Consulente e Giornalisti

La nostra prima volta. A Nessuno TV, quando si occupava di comunicazione per Rifondazione Comunista. Siamo diventati amici e la sinistra è cambiata profondamente… lui è ancora pieno di entusiasmi. 

Il miraggio

Las Vegas, Nevada. 1995

La foto. Ce ne andavamo una mattina di agosto da Las Vegas, la città più eclettica che abbia mai visto, il cielo era grigio e le nuvole bianchissime.

 

 

Del pezzo di Sergio Bellucci esiste anche una versione breve che è andata nel pannello in mostra a Imola. Al momento non ci sono notizie precise sulle prossime mostre, ma spero di dare notizie presto. (CC)

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Las Vegas, Nevada, 1995

Las Vegas, Nevada, 1995

Davanti ad una foto, spesso, mi sembra di poter sentire il mio polpastrello sul pulsante di una macchina fotografica che indugia nella scelta. Un tempo, poi, era quasi obbligatorio il domandarsi se fare o non fare uno scatto. I limiti quantitativi imposti dal numero di rullini, e quindi di foto, a disposizione soprattutto nei viaggi, ci poneva di fronte alla decisione dello scatto come ad un forte elemento di selettività. Quale era lo stato d’animo, del fotografo, un attimo prima dello scatto? Cosa guidava la mano nell’atto della scelta, dolorosa ma salvifica e risolutiva, di preferire proprio quella inquadratura, tralasciando parti della realtà per esaltarne delle altre? E quale era l’attesa di quella stessa mano, ai tempi della fotografia chimica, in quegli istanti in cui la carta, che aveva già subito il processo di impressione dall’essenza della pellicola, faceva emergere, da quei bagni fatti di acidi maleodoranti, il richiamo ipostatizzante dell’emozione primaria del fotografo?

Dilemmi che hanno attraversato e attraverseranno ogni persona di fronte al magico rettangolo riempito dalle scelte di una inquadratura. Una magia che non smette di accendere fantasie. Su ciò che è contenuto e su ciò che si è negato allo sguardo dello spettatore da parte della mano del fotografo. Ricostruzione di senso. Percezione, empatia, com/passione. Questa sembra essere la percezione inconscia dello spettatore di fronte alla fotografia. Immagine ferma di una realtà in perenne trasformazione di cui pensiamo di catturare l’anima nel gioco di mandi e rimandi a cui le scelte dell’autore ci obbligano. Cosa ci nega Claudio con la scelta di questa inquadratura? Cosa ci offre nella immagine scelta?
Ho provato a percepire quale sia stata l’emozione di Claudio nello scattare questa foto. Come si poneva di fronte a quel paesaggio, a quello skyline il viaggiatore e il fotografo? Tentare di entrare in contatto con quelle emozioni serve a interpretare il senso della foto, al di là degli aspetti tecnici, dell’inquadratura, dello sviluppo, delle linee di tensione che attraversano i vuoti e i pieni di una fotografia.  Credo che la parte più importante della immagine, in realtà, trasmetta la voglia di interpretare gli spazi aperti e la grandezza del paesaggio, ancor di più della voglia di descrivere le forme dell’attività umana che essa contiene. La parte principale della fotografia è incentrata sugli spazi aperti, sul cielo, sul divenire del movimento della nuvole. È questo l’approccio al paesaggio umano che la fotografia ci suggerisce e che rappresenta la cartina di tornasole emozionale che vuole trasmettere. Las Vegas come un territorio in cui è possibile trovare un proprio spazio, un territorio connesso con  potenzialità inespresse e pronte per essere prodotte o per essere oggetto di appropriazione. E lo spazio a disposizione è soprattutto quello del sogno, delle possibilità offerte alla realizzazione della propria sfera emotiva. Qui, forse, sento il mio polpastrello sovrapposto a quello di Claudio nell’atto dello scatto.
In quel tempo, però, lo sguardo voleva essere più avanti di quello che le mani potevano o volevano fare. Erano tempi, quelli, in cui osservavamo quella realtà umana, quella realtà sociale e politica, con altri occhi. Visioni più statiche e rattrappite dal conforto prodotto dalla riproducibilità dello schema interpretativo del presente che ci era stato consegnato dal passato. Un approccio che rendeva quel territorio più omogeneo di come fosse nella realtà. I territori sono tutti articolati, profondi, contradditori, anche quando hanno un prevalente che ne egemonizza gli esiti e ne diventa la chiave interpretativa comunemente usata.
A quel tempo Las Vegas era un territorio ancora lontano, come tutti i territori sparsi del mondo. Le distanze erano ancora pre-digitali. Nessuna contemporaneità degli accadimenti tra luoghi non attraversati dallo stesso vento, nessuna condivisione delle tragedie in tempo reale in grado di piegare le emozioni all’interno di 140 caratteri. Las Vegas era lì, esattamente dove sta oggi, eppure molto più lontano. E questa vicinanza di oggi non dipende solo dalle potenzialità della tecnologia. Sono i processi di omologazione delle nostre società a rendere quello schema di vita, più naturale di quanto non fosse venti anni or sono. Ricordo ancora le emozioni che attraversavano i giudizi su quella città. Noi che combattevamo per la felicità di tutti – e che per tale lotta eravamo disposti non solo a non essere felici, ma a diffidare della eventuale possibile, effimera felicità perché ci avrebbe distolto dalla possibilità di condividere dolori e preoccupazioni che andavano eliminate dalla società – sapevamo già che l’industrializzazione della felicità nega lo spazio relazionale di cui la felicità deve abbeverarsi per essere reale. E questa maggiore consapevolezza di oggi non è superata dalla maggiore comprensione della complessità rinchiusa in quelle fabbriche del divertimento, dell’azzardo e del sogno.
Lo spazio del sogno, lo sappiamo, rappresenta la condensazione delle aspirazioni di cui riusciamo a immaginare una loro, seppur onirica, concretizzazione.
Eppure a rivedere oggi una tale immagine non può non emergere il senso di essere in presenza di un “non luogo”. Non solo perché l’accatastarsi di edifici sembra non lasciare spazio alla mera relazionalità umana se non quella attraversata e attraversabile attraverso la mediazione del valore di scambio, ma soprattutto perché tale affastellamento rappresenta il concretizzarsi del modello egemone che si è fatto mondo. Uno spazio cittadino come “non luogo” perché sembra schiacciare tutta la realtà umana in quell’angusto spazio del consumo come identità e la disponibilità economica come una chiave per l’accesso alla felicità ricercata. Una felicità da “non luogo” proprio perché ipotizza la sua esistenza “a prescindere” dall’altro e dalla sua condizione, nell’illusione che sia sufficiente avere qualcuno che possa assistere al proprio successo per concretizzare il proprio appagamento emotivo. Una illusione che ha iniziato a sciogliersi come neve al sole di fronte alla realtà della crisi aperta dal 2008.
La scelta del titolo tradisce, però, lo spazio esistente tra la soggettiva impressione dello sguardo sul momento e la consapevolezza dell’oggi.  Allora, anche la stessa inquadratura tende a recuperare il senso del discorso emotivo di quel tempo. Siamo in una delle città simbolo del sogno americano, un agglomerato di attività che, solo pochi decenni prima, lasciavano il posto a praterie e distese senza attività umana. Velocità, fortuna, coraggio, ricchezza per tutti basata su caso, bravura e ingegnerizzazione del sogno.
La foto trasferisce, oggi, più il senso dello spazio libero rispetto a quello occupato. Le tensioni emotive di allora si sciolgono in maggiore consapevolezza e capacità di osservare limiti che allora non erano né chiari, né visibili. Ma è nella scelta degli spazi che Claudio aveva introiettato che è possibile ricercare la pulsione di libertà che inseguiva con il suo sguardo e, tra l’agglomerato degli edifici e il cielo, il suo sguardo critico dedicò tutto il possibile alla rappresentazione di quello spazio libero materializzato nel cielo. Un azzurro ancora non solcato dalle strie bianche che oggi sono chiamate scie chimiche e segnano ogni immagine dell’azzurro con la loro onnipresente presenza. Con questa emozionale consapevolezza poggio il mio polpastrello e CLICK!
Il pannello della mostra. Misure 2mX2m

Il pannello della mostra. Misure 2mX2m