Un regalo commovente

Doveva ancora cominciare la presentazione di Eclettismi  venerdì scorso e io stavo salendo sul palco per sedermi accanto alla professoressa Gaddoni del Circolo Culturale Luigi Einaudi, quando mi si avvicina un signore. “Tu non ti ricordi chi sono…” mi dice. Ed in effetti il solo neurone ancora in circolazione nelle stanze vuote del mio cervello ha cominciato a girare freneticamente a vuoto e non riusciva a trovare nessuna informazione. “Sono Enzo Mimmi!”…
Immediatamente si è aperto il file con la scritta “Infanzia a Fornace Gallotti”.
Io sono nato in casa, al n. 6 di quella strada e per 9 anni il mio mondo andava dal mio cortile allo spazio dei campi da bocce, dietro il Bar Al Turista, che era a 100 metri da lì e, nei momenti più avventurosi potevo arrivare, accompagnato si intende, dalla bottega di Laffo Laffi (ironia della storia, il curatore della mostra è Mannes Laffi che è suo figlio). Ma più di tutto la mia infanzia, fino alla seconda elementare, si svolgeva “sotto i meli”. Uno spiazzo che a me pareva la jungla di fronte alla porta di casa mia. Oggi anche quell’incrocio è molto cambiato e i luoghi non si riconoscono bene, perché ci sono tre o quattro nuove costruzioni che anche dall’alto rendono irriconoscibile i posti che vorrei raccontare…

La zona di Via Fornace Gallotti, come la mostra oggi Google Maps

La zona di Via Fornace Gallotti, come la mostra oggi Google Maps

Ma la mappa dei primi anni ’60 di quell’angolo di mondo è presto fatta. Entrando da via Fornace Gallotti arrivando dalla via Emilia, aveva a sinistra 3 o 4 pioppi, a destra c’era un piccolo gruppo di case: nella prima, che dava proprio sulla strada ci abitava Gino, “E Lungò” (“Il Lungo”) che si sposò tardi con una signora del sud. Era il proprietario degli appartamenti, il padrone, ma ho sempre avuto la sensazione che fosse veramente un pezzo di pane. Non stava mai fermo: andava sempre in giro su una bicicletta nera. Era alto, dinoccolato e io me lo ricordo arrampicato a scale altissime a potare gli alberi…

Nel primo cortile interno ci abitava Santina, che aveva un figlio, Massimo, che è stato il primo bambino che ho preso in braccio e al quale ho voluto molto bene. Non lo vedo da più di trent’anni, ma penso che se ci vedessimo, ci riconosceremmo perfettamente. Al secondo piano abitava Anna “Mora”, veniva da Monghidoro. Era una donna appariscente, gentile e pacata e faceva in casa il mestiere più antico del mondo. Se devo dire la verità, io, per capire quale fosse questo lavoro ci ho messo un po’ di tempo, perché la sola cosa che mi incuriosiva di lei, oltre al decolté, era che teneva il giradischi a tutto volume e ascoltava le canzoni di Gianni Morandi e Celentano che mi piacevano moltissimo. Poi, in un periodo, cominciò a sentire una ballata tristissima che raccontava la storia di Ermanno Lavorini, una vicenda torbida che ha segnato la nostra infanzia.

Nella stessa parte dell’isolato, c’era un appartamento con un terrazzino con dei vasi di geranio (ma qui il ricordo si fa un po’ più nebuloso): casa di Ersilia, sorella di Jolanda, la madre di Ivonne, Ivano e Cicci. Me la ricordo sempre là affacciata e fumava in continuazione le Alfa, lamentandosi per il volume della musica.
Proprio sotto c’era una porta con una camera angusta trasformata da Gino in deposito di assi e di materiali da muratore. Qualche tempo dopo quello stanzino divenne la sede della sezione Lenin del PCI, che prima di allora teneva le sue riunioni in casa mia.

Al secondo piano del n. 6 di via Fornace Gallotti ci abitava una famiglia: Anna, la mamma; Ivano, il padre e Gledis, che aveva un anno più di me. Qualche anno dopo, forse nel 1965 nacque anche Barbara e quindi di lì a poco la famiglia Bona si trasferì e la mia famiglia – io, mia madre e mio padre – si spostò al posto loro, in quello che a me appariva come il piano nobile della casa.

A fianco, in una casa con un pezzo di terra davanti, dove c’era un piccolo orto, abitavano i Mimmi: il padre e la madre Franca e i figli: Enzo, appunto, e Vanes. Più in là al confine con la zona degli altri pioppi e due campi da bocce che si animavano il sabato e la domenica, abitava l’altra famiglia Mimmi: lui mi pare si chiamasse Mario e la moglie (forse) Natalia. Anche loro avevano due figli: Tonino (più grande di noi) e Nadia.
La comunità era più o meno tutta qui. Questo era ciò che per diversi anni è stato il mio universo. D’estate arrivavano altri ragazzi (Carlo, Maurizio, Valeriano, 2 Tiziano (Freddi e Collina), Claudio…) e una delle attività più elettrizzanti era giocare a palline. In altre zone d’Italia (particolare che scoprii in colonia) il gioco veniva chiamato “delle biglie”, ma la sostanza non cambiava. Si scavavano dei solchi nella terra per dare forma ai circuiti, le sponde si rafforzavano con un impasto di acqua e terra che noi chiamavamo “paciaclina” e con il dito medio e l’unghia del pollice si spingevano le piccole sfere di plastica e partivano le gare. Le palline avevano all’interno un disco con la foto dei corridori del tempo: Gimondi, Dancelli, Pambianco, Taccone, Bitossi, Motta, Van Loy… e naturalmente il più forte di tutti, il Cannibale: Merckx. Io mi divertivo da impazzire (e a dire la verità ero anche abbastanza forte).

Le palline dei ciclisti, che ci sono ancora, ma non mi pare abbiano sui bambini di oggi lo stesso impatto che hanno avuto su di noi

Le palline dei ciclisti, che ci sono ancora, ma non mi pare abbiano sui bambini di oggi lo stesso impatto che hanno avuto su di noi

Una volta arrivammo sotto i meli e trovammo che qualcuno ci aveva raso al suolo tutto. Eravamo arrabbiatissimi e decidemmo di fare delle fortificazioni per difenderci dai distruttori (in realtà il maggiore sospettato di questo raid era il nuovo proprietario del Bar Ristorante Al Turista, un signore che veniva chiamato con un nome da film noir americano: “Gana”). Facemmo un paio di bunker scavati nella terra e fu un per noi un lavorone…

Insomma dal giorno di quell’impresa “mostruosa” sono passati 48 anni. E l’altro giorno Enzo Mimmi mi si avvicina con aria timida e mi dice: “L’abbiamo ritrovata e ne abbiamo parlato a casa: sapevamo che saresti venuto a Imola e abbiamo pensato di regalartela…” e mi allunga una fotografia in piccolo formato, come andavano una volta, con una perfetta didascalia scritta a macchina. “In piedi da sin: Carlo Arcangeli, Valeriano Cavallari, Claudio Cocchi. Seduti da sin: Vanes Mimmi, Claudio Caprara, Gledis Bona. Fotografo: Enzo Mimmi. Anno 1966”. Sono rimasto di sasso e non ho trovato le parole giuste per ringraziare. E’ stato il regalo più bello e commovente che abbia ricevuto.

In piedi da sin: Carlo Arcangeli, Valeriano Cavallari, Claudio Cocchi. Seduti da sin: Vanes Mimmi, Claudio Caprara, Gledis Bona. Fotografo: Enzo Mimmi. Anno 1966

In piedi da sin: Carlo Arcangeli, Valeriano Cavallari, Claudio Cocchi. Seduti da sin: Vanes Mimmi, Claudio Caprara, Gledis Bona. Fotografo: Enzo Mimmi. Anno 1966