La città proibita (di Giuseppe Rao)

Nov 17, 15 La città proibita (di Giuseppe Rao)

Giuseppe Rao

Dirigente

La nostra prima volta. A Via delle Botteghe Oscure, nel 1997. Lavorava con Maccanico e faceva cose assai importanti per l’innovazione dell’Italia. Forse eravamo troppo in anticipo sui tempi o forse un po’ illusi.

La Città proibita

Pechino, 1991

La foto. E’ un’immagine generica e senza personalità, l’unica cosa che si intravvede è la foschia, che nella realtà era spesso nebbia fitta, ad agosto, con temperature pazzesche. Raramente ho trovato una città più ostile (meteorologicamente) della Pechino di quei giorni.

 

 

Pechino, 1991

Pechino, 1991

La Cina che ho conosciuto. Considerazioni per promuovere rapporti bilaterali in grado di contribuire al superamento della crisi economica. (NB. il testo è di settembre 2014)

La Cina contemporanea nasce nel 1979, anno in cui Deng Xiaoping – successore di Mao Tse-tung – promuove una lenta ma inarrestabile rivoluzione interna, destinata a produrre profondi cambiamenti nel modello del Paese. Il controllo dell’economia sarebbe rimasto prerogativa dello Stato, che tuttavia avrebbe consenttito una graduale apertura ai privati e alle imprese straniere.
A partire dagli anni ’80 la Cina è diventata la grande fabbrica del mondo, meta delle imprese straniere desiderose di produrre a bassi costi beni da rivendere nei mercati sviluppati.
In questi anni il Partito Comunista Cinese non è rimasto a guardare. Il Paese ha lentamente assorbito il know how portato dalle imprese straniere e ha investito sul sistema industriale interno e sulla ricerca. A partire dal nuovo millennio l’obiettivo dichiarato della dirigenza cinese è stato quello di trasformare il Paese in una grande potenza nei settori industriali e tecnologici ad alto contenuto tecnologico.
Qualche dato di riferimento: 1,4 miliardi di abitanti, quindi grande abbondanza di capitale umano; 120 città con più di 1 milione di residenti; tassi di crescita del PIL degli ultimi anni con una media del 10%; superati  gli USA nel commercio con l’estero; 89 imprese nel “Fortune 500” (11 nel 2003); primo Paese per numero di brevetti depositati. In breve tempo sono stati raggiunti grandi traguardi nelle tecnologie avanzate. La Cina sta costruendo la propria stazione spaziale e il sistema geostazionario satellitare Baidou; compie missioni sulla Luna (il primo uomo previsto nel 2025); produce aerei, elicotteri, treni ad alta velocità, sottomarini. Il Paese ha raggiunto eccellenze nelle nanotenologie e in numerosi altri settori scientifici, tecnologici e industriali.
Pechino è diventata il terzo partner commerciale per l’Italia, dopo Germania e Francia, superando gli Stati Uniti.
La crescita impetuosa del Gigante d’Oriente ha colto impreparato l’Occidente, che non ha saputo definire strategie adeguate per affrontare la concorrenza di un Paese che poteva far ricorso a pratiche non più consentite nel mondo sviluppato (aiuti di Stato, basso costo della mano d’opera, violazione della proprietà intellettuale; barriere all’entrata per i soggetti stranieri).
Particolarmente grave è stato il comportamento dell’Italia. E’ mancata, da parte dei governi, l’analisi sul ruolo della Cina nella nuova geopolitica industriale e quindi la capacità di creare un negoziato stabile con Pechino per la condivisione di una politica win win nelle relazioni economiche e industriali bilaterali. Non vi è stata, in altre parole, interlocuzione politica costante: il Presidente del Consiglio italiano (ci riferiamo all’istituzione, senza riferimenti ai diversi governi succedutisi negli ultimi anni) per molto tempo non ha ritenuto di dover compiere visite di Stato ovvero ha compiuto visite rapidissime. A Roma non è stata creata “una cabina di regia” in grado di monitorare le relazioni industriali – che vedono un grave deficit italiano nell’interscambio – e proporre soluzioni.
Lo stesso errore non è stato commesso dalla Germania. Il Cancelliere tedesco visita la Cina ogni anno – spesso le missioni si protraggono per più giorni -, e i due Paesi hanno costruito economie complementari. Il deficit commerciale dell’Italia con la Cina è molto grave. La Germania – il cui interscambio è pari alla somma di quello di Italia, Francia e Regno Unito  – ha una bilancia commerciale in attivo. Tutti sanno che la prima regola per avviare trattative e negoziazioni con i cinesi risiede nel sapere creare un clima di amicizia e stima reciproci.
Anche il nostro settore privato sconta le proprie debolezze. I centri studi delle associazioni imprenditoriali non sembrano impegnate a produrre analisi e proposte per il mercato cinese. I pochi giornalisti italiani presenti a Pechino sono spesso obbligati a scrivere sui fenomeni di costume o magari ad enfatizzare le contraddizioni politiche e sociali del Paese. Ad essi non sembra essere offerta l’opportunità di raccontare i mutamenti e le modernizzazioni in corso nel Paese. Soltanto una nuova generazione di studiosi e analisti ha iniziato a raccontare la Cina via Internet o mediante la creazione di centri studi.
Le articolazioni istituzionali.
Si legge e si sente dire che la Cina sarebbe retta da una dittatura. Altri ritengono invece che siamo di fronte ad una democrazia autoritaria. La realtà è molto complessa e per tentare di comprenderla – ammesso che ciò sia possibile – appare  necessaria una premessa. Condizione imprescindibile per studiare la Cina è la rinuncia ai modelli interpretativi occidentali e quindi la volontà di immedesimarsi con una storia millenaria che non ha mai avuto momenti di intersezione duraturi con i valori occidentali.
La Costituzione del 1949 attribuisce al Partito Comunista Cinese (PCC) – di fatto il Partito unico – il compito di definire gli indirizzi politici generali, sia a livello nazionale che territoriale. Le istituzioni dello Stato – Governo, Province, Municipalità – sono invece competenti per l’attuazione concreta dei programmi.
Le regole del PCC prevedono istituzioni interne (anche a livello territoriale) molto severe finalizzate al controllo e al bilanciamento dell’operato delle cariche pubbliche: il Comitato Centrale, il Politburo, l’Organo di disciplina. La selezione gruppi dirigenti avviene su criteri di competenza e meritocrazia (questo non esclude presenza di contrasti/lotte interne al Partito). I funzionari politici sono inviati a fare esperienza nel territorio – migrando in più sedi -, e solo quelli con i migliori giudizi giungono a Pechino per assumere incarichi di livello nazionale.
Un ruolo fondamentale è esercitato dalla formazione, affidata alle scuole del Partito (ad es. la sede centrale di Pechino è ubicata in un grande campus con stile americano, dove lavorano centinaia di docenti). I dirigenti politici ad ogni livello sono chiamati periodicamente a periodi di qualificazione professionale. Anche i documenti strategici del PCC vengono elaborati nel corso di lunghe sessioni di studio e lavoro presso le scuole di Partito.
La leadership politica presta molta attenzione alla ricerca di consenso. Il Presidente Xi Jin Ping, nel momento dell’insediamento, ha espresso l’obiettivo di costruire il “sogno cinese” e di eliminare le cause di malcontento tra la popolazione. La dirigenza è consapevole che i cittadini – i giovani in particolare –  sono sempre più attenti alla gestione della cosa pubblica, e ciò anche grazie all’uso massiccio del web quale strumento di controllo, partecipazione e critica.
E’ stata avviata una dura campagna contro la dilagante corruzione, fenomeno che provoca sia alterazioni nei processi decisionali e negli equilibri politici e istituzionali, che una erosione del consenso sociale. I mass media prestano molta attenzione alle inchieste (migliaia ogni anno) e alle pene esemplari irrorate nei casi di infrazioni “alla disciplina di Partito” (innanzitutto corruzione e abuso di potere).
Oggi la Cina ora è guidata da leader moderni e cosmopoliti, che hanno maturato un metodo nuovo nella direzione politica e nelle relazioni internazionali. Mao Tse-tung superò i confini nazionali solo due volte, entrambe per recarsi a Mosca. I dirigenti di oggi, consapevoli del ruolo sempre crescente esercitato da Pechino nei diversi scacchieri internazionali e desiderosi di ampliare la sfera di influenza del Paese, viaggiano con grande intensità. Se il Grande Timoniere predicava il rapporto diretto con le masse, oggi siamo di fronte all’affermazione di un nuovo Confucianesimo, caratterizzato dal ruolo dominante delle élite politiche ed economiche, a cui viene affidato il  perseguimento dell’interesse nazionale.
I processi di riforma, apertura all’esterno e modernizzazione di questi ultima anni hanno  evidenziato incoerenze, interrogativi e rischi per la stabilità sociale e politica del Paese. Ed i gruppi dirigenti sono particolarmente sensibili ai precedenti storici – l’URSS innanzitutto – di caduta dei grandi imperi.
Un discorso particolare riguarda il rapporto tra democrazia, diritti umani e libertà di espressione.
La leadership cinese rivendica la presenza di un sistema democratico nella selezione dei gruppi dirigenti (merito e non cooptazione) – anche se non sono previste elezioni popolari – ed il fatto che sono stati garantiti alla popolazione i diritti umani fondamentali: il lavoro, la casa, e l’istruzione.
La libertà di espressione e critica è in buona parte garantita (il dibattito sui quotidiani e sulla rete ne è sostanziale conferma). Esiste tuttavia la censura su quelle che vengono definite interferenze esterne. Infine non è consentito – pena una dura repressione – organizzare il dissenso con l’obiettivo dichiarato del superamento della Costituzione nella parte in cui  prevede il ruolo politico esclusivo del Partito Comunista e quindi l’apertura del Paese a modelli istituzionali occidentali.
E’ possibile evidenziare altre contraddizioni insite nei processi di crescita:
○ socialismo con caratteristiche cinesi / fenomeni di capitalismo selvaggio in settori aperti al mercato;
○ riforme e apertura verso l’esterno / perdita di identità nazionale;
○ città (sempre più ricche e dinamiche) / aree rurali (in grave ritardo);
○ ricchi /poveri: l’economia mista ha generato fenomeni di arricchimento e di formazione di nuove classi sociali, mentre ampi strati della popolazione continuano a vivere in condizioni di sussistenza;
○ rivendicazioni di welfare (sanità, pensioni, servizi) e sicurezza ambientale e alimentareSocialismo con caratteristiche cinesi” e identità nazionale; programmazione e “visione scientifica dello sviluppo”.
Le riforme avviate da Deng Xiaoping hanno portato alla elaborazione del concetto di “Socialismo con caratteristiche cinesi” (mantenimento del ruolo guida dell’economia di Stato, ma anche graduale apertura al mercato e alle imprese straniere).
Con il tempo i rigidi dogmi del socialismo si sono affevoliti. Il vero collante del Paese non è rappresentato dai valori ideologici, bensì dall’immedesimazione della stragrande maggioranza della popolazione nell’identità e nella volontà di perseguimento degli interessi nazionali.
Lo sviluppo del Paese viene costruito su piani di medio e lungo periodo (in particolare il Piano Quinquennale), sulle politiche industriali e sul monitoraggio dei risultati. I Ministeri sono dotati di think tank con il compito di elaborare politiche di settore in grado di dare attuazione alle direttive politiche. I settori strategici rimangono monopolio delle industrie di Stato. Il Paese è stato dotato di moderne infrastrutture (aeroporti, ferrovie, porti, fiumi navigabili, reti per i servizi). Alle banche e alla finanza – anche nei casi di privatizzazioni – viene affidata la missione di sostenere l’economia reale.
Il PCC ha elaborato il metodo della “visione scientifica dello sviluppo”, che indica la volontà di adottare le decisioni politiche sulla base delle evidenze scientifiche.
Soprattutto a partire dall’XI Piano Quinquelnnale 2006 – 2011 la dirigenza del Paese – formata in gran parte da politici con un forte background tecnologico (gli ingegneri al potere!) – ha promosso un nuovo modello di sviluppo orientato verso i settori industriali e tecnologici ad alto contenuto tecnologico e industriale. Ciò ha determinato: a) successi sempre più significativi (già menzionati); b) gravi danni ambientali, che costituiscono probabilmente la maggiore  emergenza nazionale .
La dirigenza insiste comunque nel denunciare i ritardi del Paese sui processi di innovazione. La Cina per secoli è stata in grado di produrre scoperte e invenzioni scientifiche. Un forte momento di frattura si è avuto con il così detto “Secolo dell’umiliazione straniera” – iniziato con la Guerra dell’oppio del 1839 – durante il quale il Paese è stato vittima delle dominazioni e dei soprusi delle potenze straniere (gli strascichi sono presenti ancora oggi: si pensi alle difficili relazioni con il Giappone, accusato di non essersi scusato per i gravi crimini commessi). Si può aggiungere che la perdita di capacità nei processi di innovazione è stata favorita anche dalla sostanziale chiusura verso l’esterno nei primi trenta anni della Repubblica Popolare.
Il PCC, consapevole della necessità di migliorare la qualità dei gruppi dirigenti, ha promosso politiche per inviare all’estero i  migliori studenti universitari. Tutto ciò ha provocato fughe di cervelli, considerato che solo 1/3 ritorna in patria. Negli ultimi anni sono state approvate leggi per favorire il rientro dei talenti, a cui vengono spesso affidate la guida di imprese e centri di ricerca.
Le politiche industriali hanno tradizionalmente privilegiato le grandi imprese. Ora il focus si è spostato sulle PMI ritenute, per la loro flessibilità, veicolo fondamentale nei processi di innovazione.
I mutamenti della realtà cinese rispetto ad anni ’80 e ’90.
Le attività delle imprese straniere in Cina negli anni ’80 e ‘90 (fenomeno della delocalizzazione) sono  state incoraggiate da bassi costi di produzione. L’avvento dell’Euro (impossibilità di  svalutazioni competitive) e la progressiva crescita mercati asiatici, hanno spinto numerose imprese a proseguire il percorso di delocalizzazione.
Oggi assistiamo a due fenomeni: a) nuova competitività dell’Occidente dovuta alle innovazioni tecnologiche (robot, meccanizzazione integrale, …) che riducono i costi di produzione e consentono di mantenere il controllo su attività e tecnologie; b) riduzione (relativa) di insediamenti industriali in Cina – dovuta ad aumento costi per salari, servizi, norme ambientali – a favore di paesi quali Bangladesh, Pakistan, Cambogia, Vietnam, …  In sintesi la competitività della produzione di beni in Cina è sempre di più legata alla capacità di essere presenti nel mercato locale.
Italia – Cina: il partenariato economico. Le sfide per le imprese italiane.
La popolazione cinese identifica l’Italia come il Paese dello stile e della qualità della vita. Governo e imprese sono invece consapevoli della leadership del nostro Paese in alcuni settori industriali. Ciò determina un crescente interesse per: trasferimento tecnologico, know how, PMI e acquisizione di Made in Italy.
Il nostro sistema industriale – e ciò soprattutto a causa delle ridotte dimensioni delle imprese – si trova ad affrontare sfide sempre più complesse.
Il mercato cinese, imprescindibile per le imprese straniere, oggi è caratterizzato da: dinamicità; competizione (sia di aziende nazionali che straniere); clienti sempre più sofisticati ed esigenti; aziende locali con forti disponibilità finanziarie per l’acquisto delle tecnologie più avanzate; politiche pubbliche dirette a favorire i consumi interni. La fortissima identità culturale cinese impone alle imprese l’adozione di strategie “ad hoc” e investimenti d’orizzonte (impossibilità di trasferimento acritico dei modelli di business occidentali).
Il successo delle aziende italiane – sia quelle con insediamenti produttivi, che quelle che svolgono solo attività commerciali – è subordinato alla presenza nel territorio di uffici e filiali, presidiati da risorse umane qualificate provenienti dal nostro Paese, in grado di promuovere:
– conoscenza (scouting…) culturale, negoziale, industriale, commerciale, giuridica;
– capacità di soddisfare le esigenze e il gusto locali, con l’adattamento delle linee di prodotto al mercato;
– costruzione di una rete di solide relazioni (fondamentali in un Paese: dominato dalla presenza dello Stato; con una spiccata vocazione alla negoziazione; sensibile ai rapporti di natura interpersonale);
– tutela giuridica (presenza di numerosi studi legali italiani) nella fase di avvio delle attività; nella firma dei contratti (uso vincolante della lingua cinese); per la protezione della proprietà intellettuale e nei casi di controversie;
– capitale umano locale;
– costruzione e controllo della rete di vendita e assistenza al cliente, guidata da personale italiano e in grado di definire una strategia di penetrazione del mercato (il cliente cinese considera garanzia di credibilità il poter contare su interlocutori provenienti dalla casa madre e residenti in Cina, disponibili 24-7/7).
Nelle città di Prima fascia (Pechino, Shanghai, Canton, Nanchino) assistiamo ad una graduale saturazione del mercato. Per molte aziende diventa necessario definire strategie per le città di fascia 1,  2, 3 e persino 4. I consorzi tra imprese italiane possono risultare decisivi per il successo di PMI che si affacciano ora sul mercato locale e che possono così ottimizzare risorse e strutture organizzative.
L’eCommerce è sempre più decisivo (entro il 2015 il giro di affari e-commerce arriverà a $315 miliardi; 330 milioni di persone acquisteranno online – Nel 2020 sarà di $650 miliardi). La comunicazione e costruzione del brand (mass media, social networks, eventi) risultano altresì elementi essenziali.
Una conclusione appare importante: in assenza dei necessari investimenti finanziari e organizzativi diretti a presidiare il mercato locale, il successo dell’impresa è affidato in via esclusiva ad  importatori o agenti locali. Ciò determina una grave perdita di conoscenza del mercato locale – che, in numerosi settori è oramai il più importante del Pianeta – e, spesso, perdite dei profitti generati da una seria politica di insediamento, promozione del marchio e creazione di una efficiente rete di vendita.
Considerazioni per promuovere rapporti bilaterali in grado di contribuire al superamento della crisi economica.
La Cina è diventato un Paese dinamico, moderno, aperto alle influenze esterne. Il Paese condizionerà sempre più le economie del mondo e quindi le nostre condizioni di vita.
L’Italia gode di sentimenti di amicizia basati su legami storici e culturali e da affinità tra i due popoli. La nuova leadership politica è sensibile ad un rapporto positivo con l’Italia. La Cina ha collocato significative risorse finanziarie nelle grandi imprese italiane ed è il maggiore investitore straniero nell’Expo Milano 2015 (tre padiglioni), evento che può costituire un volano per gli scambi commerciali e industriali. La Cina è parte dei nostri problemi (⇒ deindustrializzazione; politiche protezioniste…), e al tempo stesso offre grandi opportunità per l’intero sistema Paese (industria, tecnologia scienza, cultura, sport).
L’Italia – Governo, imprese, sistema della ricerca, industria culturale – necessita di Governance dei processi, elaborazione di strategie e confronto continuo con le diverse articolazioni del sistema cinese  Paese. E’ necessario il crollo dei pregiudizi reciproci e la creazione di un ambiente idoneo a creare fiducia reciproca tra i diversi attori (industriali e commerciali innanzitutto).
Il mondo è cambiato. Occorre l’umiltà politica e culturale – di fronte ad una crisi che appare senza uscita – di abbandonare comportamenti e prassi supponenti e di chiedere comprensione ed aiuto. Tutto ciò senza dimenticare il ruolo avuto dall’Italia nella crescita della Cina e le proprie potenzialità economiche, industriali e culturali.