Caproni alla maturità

Giu 21, 17 Caproni alla maturità

Quella di oggi, avessi fatto l’esame di maturità, sarebbe stata una traccia perfetta per raccontare il rigore di Giorgio Caproni, il suo alto profilo morale e intellettuale, le vicende quotidiane ordinarie di questo livornese trapiantato a Monteverde, il mio quartiere romano.

Frequentava negli anni ’60, dalle nostre parti, tra gli altri Attilio Bertolucci e Pier Paolo Pasolini. Insegnava in via Barrili. Abitava in via Pio Foà, nello stesso palazzo dove aveva un appartamento spoglio e disordinato Giancarlo Pajetta e dove, al piano di sotto, abitava Miriam Mafai, la compagna del dirigente del PCI.

Di quella strada, parallela al muro del Parco di Villa Panphili, il poeta ebbe a dire che lì viveva: “un senso di paura, non di essere aggredito, ma paura esistenziale”. E si tratta davvero di una strada normale, quasi anonima. Proprio a Via Pio Foà Caproni dedicò due poesie: una è del 1970 «La luce sempre più dura / più impura. La luce che vuota / e cieca, s’ è fatta paura / e alluminio, qua / dove nel tronfio rigoglio / bottegaio, la città / sputa in faccia il suo orgoglio / e la sua dismisura». L’altra è di poco successiva: “Una giornata di vento. / Di vento genovesardo. / Via Pio Foà: il mio sguardo / di fulminato spavento.” Accanto al cancello di case c’è una bella lapide che lo ricorda.

La lapide dedicata a Giorgio Caproni all’ingresso del palazzo di via Pio Foà, dove abitò a Monteverde

Un episodio racconta la differenza caratteriale di uno schivo e riservato come Caproni, rispetto ad uno vulcanico e impulsivo come Pajetta. Proprio di fronte al palazzo di via Foà, al numero 31, c’era una piccola tipografia che, si scoprì, aveva stampato degli opuscoli delle Brigate Rosse, durante il rapimento di Aldo Moro. Pajetta era infuriato, telefonò a Cossiga allora Ministro degli Interni, urlando, sbraitando e – si dice – utilizzando un linguaggio crudo ma tipico delle sue incazzature. La scelta di quella tipografica da parte dei brigatisti, la prese quasi come un affronto personale. Secondo Paolo Foglia, che scrisse un pezzo su questo in un sito dedicato a Monteverde, Caproni a proposito di quell’episodio disse: ”Le tipografie mi hanno sempre attratto […], mi piace il lavoro manuale che vi si respira. […]. Mi meravigliai e non: in fondo, una tipografia così può esistere nel luogo più impensato”.

E’ dunque chiaro che sarei andato fuori tema… quindi è meglio che sia già maturo da un po’…