Parole per Imola: Riduzione delle ineguaglianze

Ago 01, 17 Parole per Imola: Riduzione delle ineguaglianze

Conosco Roberto Capucci da molto tempo, non fosse altro perché era studente (aihmè, più giovane) ai “miei tempi”. C’è un appuntamento che in tutti questi anni ci ha fatto incontrare con regolarità: il sabato alla Festa di Internazionale a Ferrara. Col tempo, devo dire, quelle conversazioni in fila per entrare ad un evento hanno assunto il valore di un rituale sereno e stimolante di aggiornamento sul passare del nostro tempo. Roberto ha fatto tante cose e la politica è sempre stata nel suo orizzonte, da quando era dirigente del movimento giovanile DC. E’ stato in consiglio comunale ad Imola, ha fatto il vicesindaco a Conselice, è stato nel cda dell’Università di Bologna e presidente dell’Acli di Imola. E’ marito e padre di tre figli e per campare, fa – con molta applicazione – il venditore di apparecchiature mediche in Asia e Russia e Oceania. L’ho ritrovato in questi mesi con l’entusiasmo che gli ricordavo come Presidente della Cooperativa Lavoratori Cristiani di Imola che gestisce la Mensa prof. Buscaroli e il Ristoro di Palazzo Monsignani. (Cap)

 

 

RIDUZIONE DELLE INEGUAGLIANZE

Confesso che non ricordo l’autore (forse Amartya Sen) di una frase che è scolpita in me dai tempi del liceo: “Non c’è niente di più ingiusto che fare parti uguali tra persone diseguali”. Ho sempre creduto che questa indicazione fosse vera: nella mia esperienza di padre, di manager e di amministratore pubblico.

L’applicazione pratica di questa teoria può apparire complicata, ma nella realtà concreta di una famiglia e di una comunità cittadina – famiglia di famiglie – la sua applicazione quotidiana potrebbe diventare immediata e alla portata dell’azione di chiunque se tradotta in una regola chiara e di una semplicità disarmante: chi ha più bisogno deve poter ricevere un surplus di attenzione, di strumenti e di tempo.

Di fronte alle necessità quotidiane di un bambino, per esempio, non ci si chiede e non si discute molto se di certe esigenze che avverte come dei veri e propri bisogni ne abbia proprio il diritto, o se ciò che chiede sia esattamente quanto sia stato programmato per lui come un diritto.

Il bimbo è il prototipo della persona diseguale: non è ancora massificato dalla tecnologia, dalla scuola, dai trend di moda. Non ce n’è uno uguale all’altro, neanche se gemelli. E puntualmente ti chiedono cose spiazzanti…

C’è una strada chiara e realistica per ridurre le disuguaglianze: gestire le tensioni di quelli che sono stati definiti i sette grandi peccati dell’Occidente sostituendo i senza con altrettanti con: “Benessere senza lavoro; educazione senza morale; affari senza etica; piacere senza coscienza; politica senza principi; scienza senza responsabilità; società senza famiglia”.

A livello locale le fasce più deboli hanno bisogno di un’attenzione politica nuova: il bilancio economico-sociale di una comunità deve andare oltre all’elenco dettagliato dei servizi offerti e porre più attenzione alla vivibilità di quelli che io chiamo (dai tempi della mia tesi di laurea sulle nuove povertà in Emilia-Romagna, ormai trent’anni fa) i “centri di attenzione sociale”.

Si tratta di analizzare ed eventualmente porre rimedio alle condizioni socio-economiche ed ambientali in cui le persone nascono, crescono, lavorano ed invecchiano. I fattori che più influenzano lo stato di salute (accanto al patrimonio genetico e all’accesso a sistemi sociosanitari di qualità) sono il livello di istruzione, il reddito familiare, l’occupabilità dei membri della famiglia, il livello di salubrità e di ergonomia dell’ambiente in cui si lavora e si vive quotidianamente.

Il sistema di welfare locale dal secondo dopoguerra ha consentito di temperare gli eccessi del mercato favorendo una certa coesione sociale e garantendo alti livelli di istruzione per la maggior parte dei cittadini, assistenza sanitaria per tutti e case a prezzi contenuti per i meno abbienti.

Oggi bisogna fronteggiare un complesso di grandi cambiamenti nella nostra città:

– L’invecchiamento della popolazione ha comportato crescita della domanda di assistenza e la necessità di prevenire l’insorgere di tale domanda;

– Lo scenario sociale è cambiato sotto la spinta delle grandi migrazioni dal sud al nord del mondo che non si interrompono neanche in un periodo di crisi;

– La scomposizione dei nuclei familiari ha determinato minore capacità di auto-organizzazione, difficoltà nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e domanda di nuovi servizi;

– il fenomeno della disoccupazione e della generale maggiore precarietà del lavoro ha creato disagi di natura materiale e immateriale in tante persone;

– La carenza di risorse messe a disposizione dalla Pubblica Amministrazione ha dettato la mancanza di risposte politiche sul tema del contrasto alla povertà.

Intorno al periodo 1999–2012 ad Imola e nel suo Circondario c’è stata una fase di crescita seguita dal consolidamento di un sistema di politiche sociali sotto il segno della differenziazione dell’offerta pubblica e della sua apertura al rapporto con soggetti non pubblici, riuscendo comunque ad assicurare elevati standard di qualità. Il peso delle risorse per le politiche di welfare sul complesso delle spese dei Comuni del Circondario è decisamente cresciuto arrivando quasi al 50 % del 2011.

Nonostante questo aumento di spesa, negli ultimi dieci anni abbiamo tutti la sensazione, se non la certezza dei numeri, di un significativo peggioramento degli indici di disuguaglianza, con un deterioramento che ha riguardato soprattutto le condizioni economiche delle giovani generazioni. Nel nostro circondario le famiglie che hanno come persona di riferimento un adulto sotto i quarant’anni hanno un rischio di povertà sensibilmente maggiore rispetto a quelle composte da adulti o anziani.

E’ arrivato il momento di fare scelte coraggiose anche in ambito di politiche sociali: una città che vuole avere ‘una marcia in più’ non può permettersi di lasciare indietro nessuno. Occorre che i nostri servizi siano disegnati per favorire l’autonomia delle persone, contenendo così la domanda dei tradizionali servizi di cura. La loro organizzazione, inoltre, dovrebbe essere più flessibile e personalizzata per rispondere a domande meno standardizzabili.

L’intera comunità (pubblico, privato, terzo settore, volontariato, famiglie) necessita di essere responsabilizzata per costruire vere reti di solidarietà anche grazie  all’opportunità offerta dalle nuove tecnologie che favorisco il rafforzamento dello scambio di informazioni.

Per arrivare alla meta l’ente pubblico deve:

– mantenere il suo ruolo di attore fondamentale nel governo della domanda (prevenzione, lettura e interpretazione dei bisogni) e nel rapporto diretto con i cittadini per l’accesso al welfare;

– condividere con altri attori sociali la responsabilità per l’erogazione delle specifiche prestazioni mantenendo capacità di monitoraggio e la responsabilità della qualità dei servizi;

– stimolare l’emersione di risorse formali e informali per la costruzione di reti di protezione sociale.

Solo rafforzando il circuito virtuoso tra sviluppo economico e sviluppo sociale, tra diritti e crescita, tra competitività e giustizia potremo beneficiare di un welfare locale declinato come “ambito di giustizia” e come “fattore produttivo”, ossia basato sul nesso inscindibile tra diritti individuali, diritti del lavoro e doveri sociali, secondo quell’approccio dello “sviluppo umano” che vede l’idea di libertà non solo come attributo individuale, ma come impegno sociale.