Palazzo Chigi (di Pasquale Cascella)
Ago 24, 17
Pasquale Cascella
Sindaco di Barletta
La nostra prima volta. Era appena stato nominato Portavoce del Presidente del Consiglio D’Alema nell’ottobre del 1998. Vulcanico e gran lavoratore. Non ho alcun dubbio: fare il giornalista era “la sua coppa di thè”.
Palazzo ChigiRoma, 2013 con l’iPhoneLa foto. Ci sono entrato tutti i giorni per un anno e 9 mesi: è un posto dove, per fare bene, devi averci già lavorato: di questo ne sono convinto da tempo. Forse anche per fotografarlo bene… Lavorarci, per me, è stata un’esperienza davvero molto importante.
Un po’ più in là, a sinistra. Si aprono le persiane della stanza, una qualsiasi affacciate sulla piazza, mettiamo quella dell’addetto alla comunicazione, e si scorge l’ombra arrivare e spostarsi stanza dopo stanza, da quella del Segretario generale, a un estremo, a quella centrale con le bandiere, fino a quella d’angolo del Presidente del Consiglio che si affaccia pure sul Corso. Anche quell’ombra “comunica”, con l’imperio della storia scolpita sulla colonna dedicata a Marco Aurelio: sembra dire agli inquilini di turno che il potere della politica, il potere che li si esercita, è transeunte.
La politica ha le sue fasi, e ciascuna trova il suo approdo a Palazzo Chigi, su quella piazza che quando lumeggia proietta l’ombra della colonna. All’inizio non ci si fa caso. Ha altro a cui pensare chi arriva al posto di chi ha dovuto lasciare per qualche buona o cattiva ragione. Altra fase, comunque, e nuovo corso. Chi concepisce la politica come espressione nobile della democrazia non può che coltivare il compito, provarci, condividere l’emozione del fare squadra, progettare il nuovo, partecipare a una sfida nei confronti di interessi opposti e scomposti, che da qualche parte andranno pure a coalizzarsi.
E tocca anche al nuovo arrivato veder consumarsi la “luna di miele”, riscoprirsi presto o tardi bersaglio di cronache cattive, magari già quelle del giornale che ha sede sulla stessa piazza; misurarsi con i voti ballerini di maggioranze che perdono compattezza proprio nell’edificio limitrofo – e perfino collegato da un sottopassaggio – di Montecitorio; sentire riecheggiare qualche voce ostile, e cominciare ad avvertire quanto duro sia il gioco, ardua la prova e caduco il compito.
Lì, a Palazzo Chigi, la politica deve misurarsi con il potere ma guai a farsi potere di Palazzo, con la maiuscola di pasoliniana memoria. Ma nessuno – non Nenni nè altri – ha mai trovato la fatidica “stanza dei bottoni” dove andare ad attivare i meccanismi riformatori. Nè la colonna della piazza, che proietta la figura ieratica di San Paolo, l’apostolo con la spada, ha mai trovato posto negli enigmi sul potere occulto. Semplicemente “avverte” gli inquilini di palazzo Chigi che il loro potere è fugace. E se sanno di dover prima o poi cedere il passo, forse potranno assolvere alla fase politica di cui assumono la leadership preoccupandosi non del tempo da occupare, ma del segno da lasciare. Senza ombre.
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