Parole per Imola: Cure Domiciliari

Gen 10, 18 Parole per Imola: Cure Domiciliari

In questi mesi ho incontrato diverse persone e tra questi Claudio Mazzoni per la sua passione e per le sue competenze mi ha molto colpito. Declinando le sue idee sulle cure domiciliari, che partono da una pluriennale esperienza sul campo, Mazzoni definisce uno dei temi cruciali per la città del futuro. Tutti i temi sono importanti per la crescita civile e sociale di una città, ma ad Imola – anche storicamente – il tema della salute è assolutamente cruciale. (CC)

 

 

CURE DOMICILIARI

In  un incontro svoltosi a Imola sulla Sanità Metropolitana, l’Assessore regionale alle Politiche per la Salute ha rinnovato un monito ai territori affinchè dedichino maggiore attenzione allo sviluppo delle cure domiciliari, quale forma da privilegiare per l’assistenza, particolarmente, ad anziani e pazienti cronici.

Ad onor del vero, l’ orientamento verso la domiciliarità delle cure è l’obiettivo che ritroviamo costantemente, ormai da una quindicina d’anni a questa parte, in tutti  i  Piani Sanitari adottatati dalla Regione Emilia Romagna. Oggi occorre chiedersi per quale motivo l’assistenza domiciliare non ha ancora visto quel forte radicamento auspicato dal legislatore.

Eppure nel nostro territorio nel corso degli anni sono stati fatti importanti investimenti e potenziamenti sul fronte dell’assistenza domiciliare. Cosa serve ancora fare di più per rilanciare e rafforzare questo ambito assistenziale?

Il tema comporta un riflessione su come organizzare l’intera rete di assistenza domiciliare, anche in termini di prospettiva perchè non si tratta solo di trasferire risorse dall’Ospedale al Territorio, per sviluppare o attivare nuovi servizi assistenziali, ma occorre sviluppare una nuova strategia di intervento a livello domiciliare. Definire una nuova architettura organizzativa, che deve vedere coinvolti non solamente i servizi  di Ausl e Comune, ma anche tutti gli altri soggetti (familiari, i soggetti che si prendono cura delle persone, le associazioni di volontariato) che intervengono ai vari livelli nell’assistenza a casa dei malati.

Questa nuova progettualità deve poggiare su una visione globale del problema e che veda i cittadini maggiormente coinvolti e motivati. Che permetta di cogliere appieno le opportunità di domiciliarità, coinvolgendo la famiglia nel mantenere il più a lungo possibile l’anziano o il disabile nella propria abitazione, con i propri affetti e  il proprio “mondo di vita”.  Un progetto che consideri nuove relazioni con i pazienti e i loro familiari, che permetta di  rafforzare le sinergie tra i vari soggetti della rete, con l’obiettivo di garantire una vasta gamma di prestazioni, erogabili secondo le diverse necessità nell’arco delle 24 ore giornaliere.

In questa prospettiva deve assumere un ruolo importante ed imprescindibile il caregiver (sistema di soggetti che si prendono cura dei pazienti. NdR) e qualsiasi altra forma di assistenza in ambito domiciliare (badanti in primis).  Soggetti che diventano  parte di un sistema ampio e complesso, costituito da una pluralità di soggetti che devono integrarsi  in maniera armonica e coordinata in funzione del bisogno del paziente. Nella presa in carico a domicilio dei pazienti, infatti, vanno considerati, non solo i servizi erogati dall’Ente Pubblico, ma anche  i caregiver di riferimento, gli assistenti famigliari (badanti), le varie forme di sussidiarietà di comunità, che il territorio è in grado di esprimere. Occorre saper “strutturare” questi soggetti all’interno di un’unica rete assistenziale secondo logiche di prossimità e continuità di cura. 

Si tratta di un cambio di paradigma importante, che non è dettato solo da ragioni economiche e di sostenibilità. Ci sono ragioni anche di qualità del servizio. La cura di un anziano o un malato cronico al proprio domicilio se non è supportata anche da una presenza di caregiver  o di assistente famigliare, rischia di perdere in efficacia, in quanto viene a mancare quel punto di riferimento che garantisce tempestività e prossimità d’intervento per le piccole cose anche di vita quotidiana (che l’organizzazione pubblica, se non attraverso forme di residenzialità, non potrà mai garantire). In questo ha un peso di rilievo anche la maggiore empatia garantita da un familiare o da una persona conosciuta e di fiducia, che permette di rafforzare le relazioni, svolgendo un ruolo di mediatore con il case manager di riferimento della struttura pubblica. Un delicato gioco di squadra e di relazione che va ben oltre alle tradizionali forme di assistenza domiciliare integrata, che non può essere più di tanto standardizzata, ma bensì costruita e sviluppata caso per caso, passo dopo passo, sui bisogni del paziente attraverso piani assistenziali individuali.

E’ questo approccio che può far fare un salto di qualità all’assistenza domiciliare. La rete delle cure domiciliari va oggi considerata quale specifica e distinta area del sistema  sanitario, con una sua propria filosofia e logica organizzativa, pur sempre  integrata con le altre Aree assistenziali a livello ospedaliero e distrettuale.

 

Sulla questione è intervenuto anche il Governo con la Legge di Stabilità, istituendo un fondo per i caregiver che assistono a casa anziani e malati cronici.  Aspetto importante, di cui più volte in passato se ne è rimarcata la necessità. Ma questo da solo non è una misura sufficiente. Serve un impegno preciso da parte delle Aziende sanitarie erogatrici dell’assistenza a livello di sistema più complessivo.

Se non si ha una strategia complessiva a livello di sistema, si rischia di spendere risorse e perdere opportunità. Altri sono stati gli interventi introdotti  a sostegno della domiciliarità  (assegno di accompagnamento, assegno di cura), ma purtroppo non sempre hanno dato i risultati sperati. Spesso sono stati utilizzati non in maniera integrata, a volte addirittura hanno avuto una funzione “tampone” in carenze di azioni istituzionali, perdendosi come lacrime nella pioggia.

E’ opportuno intervenire sull’intera rete della domiciliarità, prendendo in considerazione tutte le risorse a disposizione: ADI (assistenza domiciliare integrata), FRNA (Fondo per la non autosufficienza), ASP (Azienda servizi alla persona), MMG (Medicina generale), altre forme di sussidiarietà che il territorio è in grado di esprimere, ma anche coinvolgere i caregiver familiari e le eventuali assistenti familiari (badanti), senza  più considerare questi soggetti esterni alla rete assistenziale o ancora peggio  considerarli, come purtroppo è avvenuto, supplenti negli interventi a sostegno delle cure domiciliari.

In un  nuovo modello di sviluppo delle cure domiciliari deve essere considerata ed integrata la figura del caregiver familiare. Parenti, amici, famigliari, badanti che si prendono cura a domicilio, o per situazioni definite e particolari all’interno delle strutture della rete, del proprio familiare non autosufficiente, in modo prevalente e continuativo, provvedendo a tutte le funzioni quotidiane dai bisogni primari (igiene personale, alimentazione…), alla cura della persona, aiutando ed integrando prestazioni di carattere sanitario ed assistenziale.  E’ necessario considerare queste risorse in percorsi assistenziali programmati. Come è necessario strutturare meccanismi di supporto ai caregiver sui vari piani di bisogno, da quello pratico-tecnico e formativo, quello emotivo, quello della conciliazione tra i tempi dedicati all’assistenza e i tempi di vita propria.

Considerazioni analoghe è necessario fare, anche, per quanto riguarda le collaborazioni famigliari agli anziani, vale a dire le badanti. Le nuove opportunità di domiciliarità  hanno visto la diffusione di numerose forme di “badantato”. Si tratta di un fenomeno in costante lievitazione, a volte anche in modo “anomalo” e dai contorni non sempre chiari, ma che deve diventare una risorsa all’interno della rete dei servizi domiciliari. È indispensabile attivare su questo punto delle politiche destinate a migliorare la qualità dell’assistenza (in primis attraverso la formazione), oltre ad incentivare la regolarizzazione lavorativa. E’ necessario far incontrare in modo sistematico domanda ed offerta ed individuare nuove modalità per integrare le badanti nella rete dei servizi assistenziali.

Vanno poi riconsiderate le varie forme di sussidiarietà, del  volontariato come di altri soggetti del terzo settore. La valorizzazione del terzo settore dev’essere vista come un’estensione delle capacità di intervento, come un grande strumento a disposizione della collettività per condividere dal basso l’organizzazione dei servizi e l’interpretazione dei bisogni della persona. La sussidiarietà va intesa come occasione di sviluppo e responsabilizzazione sociale, in una prospettiva nella quale il servizio pubblico si coniughi con l’associazionismo solidale, traslando funzioni verso i livelli più prossimi al cittadino, secondo programmi condivisi di  gestione dei servizi.

In conclusione. Le cure domiciliari possono fare un vero salto di qualità se si realizza una rete allargata capace di coinvolgere tutti i soggetti interessati, che veda sempre più la partecipazione attiva, accanto alle istituzioni locali, dei cittadini e delle loro formazioni sociali, il privato sociale, il volontariato per far crescere e rafforzare, attraverso un protagonismo attivo, una rete  di servizi di vero welfare di comunità.