Serra sta a Montanari come il riformismo sta al massimalismo

Lug 02, 19 Serra sta a Montanari come il riformismo sta al massimalismo

A volte è bene annotarsi cose che succedono e che, magari, andranno perdute nei meandri della memoria. La polemica più a colpi di sciabola che di fioretta tra Tomaso Montanari e Michel Serra di questi giorni spiega meglio di molti trattati che cosa sia oggi il massimalismo e che cosa sia – con rimembranze occhettiane – il “riformismo forte”. La proporzione è dunque: Serra sta a Montanari come il riformismo sta al massimalismo. Il risultato è comunque una sinistra in braghe di tela. Naturalmente, anche se trovo Montanari in privato persona assai gradevole, per il poco che l’ho conosciuto, io sto dalla parte di Michele Serra.


Anche io avevo scritto su Facebook, non bene, di Zeffirelli dopo la sua morte,

ma ne avevo riconosciuto la capacità di segnare il suo (in larga misura anche il nostro) tempo. Il primo luglio su Repubblica c’era un carteggio tra Tomaso Montanari (che è uomo brillante e certamente capace di fare il suo mestiere di storico dell’arte, ma non certamente quello di politico) e Michele Serra (capace certamente di fare il suo mestiere di giornalista e di autore, che ha avuto la capacità – anche quando tirato per i capelli – di non avere fatto politica, anche in momenti di grande popolarità). Mi era venuto di scrivere “divertente” carteggio, ma in realtà, se guardo alla sinistra italiana, non trovo molto da ridere.

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Dopo la morte di Franco Zeffirelli, Montanari aveva, tra l’altro, twittato:

Su Repubblica ha scritto: “Ieri Michele Serra ha stabilito un’equazione: la mia dura (quanto inerme) critica alle pubbliche onoranze fiorentine rese a Zeffirelli varrebbe quanto la canea di insulti che essa mi ha provocato, culminata nelle minacce del ministro Matteo Salvini, il quale mi ha ingiunto di abbandonare l’insegnamento (forse medita di tornare al giuramento di fedeltà dei professori al regime). Saremmo di fronte a due facce della stessa medaglia, quella dell’intolleranza”.

Per chi non avesse seguito la polemica (vale a dire il 98/99% degli italiani) il prof. Montanari aveva scritto sul sito di MicroMega il peggio possibile sulla “santificazione civile, avvenuta nei massimi spazi pubblici della mia città, Firenze” di Franco Zeffirelli: “un uomo che aveva proposto la pena di morte per le donne che abortiscono e per «quelli che spostano i negri» (sic), parlando di parte buona del fascismo” ci tiene a specificare Montanari. 

Con una ulteriore faziosità lo storico dell’arte dice anche: “L’edificio monumentale pubblico più importante di Firenze tra quelli disponibili è stato consegnato gratuitamente alla Fondazione Zeffirelli, presieduta da Gianni Letta”.Non pago Montanari arriva a ricordare un’altro episodio: “La riabilitazione di Oriana Fallaci (cui Zeffirelli era legatissimo), perseguita per razzismo in Francia e in Svizzera. La Fallaci dichiarò di voler mettere una bomba in una moschea eventualmente costruita in Toscana, e sosteneva la dottrina della «sostituzione del popolo cristiano in Europa»: quella oggi di Bannon e Salvini, ma anche del terrorista Tarrant, che quella bomba l’ha messa davvero. Averle dedicato una piazza a Firenze è, per me, imperdonabile”.Posso dirlo, senza essere accusato di intolleranza? si chiede Tomaso Montanari. E conclude: “Credo che l’abbandono di ogni pensiero critico a sinistra sia una delle ragioni per cui oggi ci troviamo a fare i conti con un’egemonia culturale di destra in cui nessuno contesta la consacrazione civica di Zeffirelli e Fallaci”.

La risposta di Serra parte sorniona: «l’abbandono di ogni pensiero critico a sinistra» non è un problema che mi riguarda. Semmai – sostiene Serra – posso autoaccusarmi, quanto a pensiero critico, di sovrapproduzione, ed è la stessa accusa che sento, sempre semmai, di poter muovere a questo giornale e addirittura «alla sinistra» in generale, per quanto vago sia ormai il perimetro che la indica”. 


Sovrapproduzione di pensiero critico significa, per Serra, che da circa mezzo secolo diciamo quello che non ci piace, a costo di molte ripetizioni e dell’omissione secondo me più rilevante, che è non riuscire a dire meglio, e più serenamente, quello che ci piace. Nell’arte di dire ciò che non ci piace (ciò che non siamo, che non vogliamo), pur essendo parecchio più giovane di me tu sei diventato un maestro indiscusso. Io sto cercando, da quasi anziano, forse perché un po’ stufo di me stesso, di fare qualche passo più in là (o di lato, non saprei dire) cercando di arrivare a dire almeno ogni tanto, prima che sia troppo tardi, che cosa mi piace: della vita e delle persone.Sarebbe bello poter contare sul tuo aiuto, ma non ci spero troppo.

Quanto alla differenza tra il tuo veemente tweet, che almeno era in ottimo italiano, e il volgare linciaggio (social e non social) che ne è seguito, ho sbagliato a considerarla scontata; ma i lettori sono intelligenti e avranno capito ugualmente che la mia intenzione non era certo equipararli

 
“Non aspettarti troppo, comunque, dalla cosiddetta comunità mediatica – conclude l’editorialista di Repubblica – Quando, un paio d’anni fa, fu il mio turno di linciaggio, per giunta, a differenza di quanto è capitato a te, a causa di qualcosa che NON avevo detto, a intervenire pubblicamente in mia difesa furono in pochissimi. Tra i meno solleciti, quelli della “sinistra critica”, compresi alcuni ex “cari amici”, che anzi aggiunsero il loro carico di sberle. Vedi come si è soli, certe volte. Soli con le proprie parole.