Oltre i tre gradini

Lug 26, 19 Oltre i tre gradini

Che cosa voleva dire essere comunista in Italia? Ci penso, non spesso, ma con una certa frequenza e la risposta che mi viene in mente, e che vale per me, è in un’immagine: quella di un uomo minato da una malattia ormai invincibile che ancora dieci giorni prima di morire si esercita in ospedale per salire tre gradini. La fatica è evidente. La cocciutaggine dell’uomo che un giorno fu forte, imponente, con un fisico da mediomassimo del pugilato, è ancora lì. Intera. A cosa serviva tutta quella fatica? “Domenica si vota e io devo fare quei tre gradini per andare al seggio e votare per il mio partito: il PCI”. Ecco: quell’uomo era Giorgio Amendola e in quel pietoso, ostinato, orgoglioso esercizio io vedo tutta la forza morale, culturale, ideale di quello che era il PCI. Basterebbe questo. Ma quella storia ha anche un corollario di sentimenti privati. Fino all’ultimo giorno, accanto ad Amendola c’è stata la sua compagna, Germaine. Si erano incontrati quando lui aveva 24 anni e lei 22. Lo ha accompagnato fino alla fine. Una volta, tanti anni prima, lei disse: “Se Giorgio dovesse morire, vorrei seguirlo subito, entro un’ora.” Anche se non dopo un’ora, ma dopo un giorno… E’ successo.

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Ho ripensato ad Amendola. Alla sua feroce determinazione a raggiungere un obiettivo leggendo questa mattina il Buongiorno di Mattia Feltri dedicato a Carlo Federico Grosso: “Dovete farvi una cortesia, andare nell’archivio online di Radio radicale, la sempre benedetta Radio radicale, e recuperarvi l’audio dell’ultima grande arringa del nostro amato Carlo Federico Grosso. I lettori di questo giornale conoscono la scienza del professore e chissà se ne conoscono l’onestà, una parola così vana che se ancora ha un senso è l’onestà verso sé stessi. Sentitevi quell’arringa, è dello scorso 20 maggio, processo stralcio sulla trattativa Stato-mafia, imputato Calogero Mannino, l’ex ministro democristiano in mano alla giustizia da venticinque anni, e sempre assolto. Il professor Grosso era arrivato a Palermo la sera prima, domenica. Era già sofferente. Durante la notte era stato male e la mattina non si reggeva sulle gambe. Pur di andare in tribunale, ci si fece portare in sedia a rotelle. «Vorrei chiedere a questa corte un piacere, cioè se fosse possibile per me parlare da seduto». La voce era incerta, affaticata. Poi prese vigore, lo riperse. Era la passione nell’interezza, l’appassionarsi e il patire. Era come se la volontà sfidasse il corpo, e per un po’ prevalesse. Dopo quarantasette minuti, fu concessa una pausa e poi il professore parlò per un’altra mezzora abbondante. Al termine dovettero ricoverarlo. Gli esami non aggiunsero molto a quello che si sapeva, se non quanto la situazione si fosse complicata. Lunedì scorso l’avvocato Grazia Volo, che con Grosso ha condiviso la difesa di Mannino, ha telefonato a Torino: Carlo, ce l’abbiamo fatta, Mannino è stato assolto. «Sono felice, Grazia, sono felice, molto felice. E adesso sono in pace». E’ morto la notte successiva”.

Bellissimo!

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[…] L‘arringa, è dello scorso 20 maggio, processo stralcio sulla trattativa Stato-mafia, imputato Calogero Mannino, l’ex ministro democristiano in mano alla giustizia da venticinque anni, e sempre assolto […]

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Carlo Federico Grosso (1937-2019). Avvocato. Giurista. Figlio di Giuseppe (1906-1973), giurista che dal 1965 al 1968 fu sindaco di Torino. Dal 1974 al 2007 ordinario di Diritto penale presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino. Nel 1994 fu eletto componente del Consiglio superiore della magistratura, di cui fu vicepresidente dal 1996 al 1998. È stato consigliere comunale come indipendente nelle liste del Pci dal 1980 al 1990, ricoprendo anche la carica di vicesindaco di Torino. Poi dal 1990 vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte. Nel 1998 fu nominato presidente della Commissione ministeriale per la Riforma del codice penale, istituita dal ministro della Giustizia Flick, incarico confermato dai successivi ministri Diliberto e Fassino. Autore di numerose pubblicazioni di diritto penale, si è occupato in particolare dei delitti contro la pubblica amministrazione, della criminalità economica e dei riflessi penalistici della bioetica. Primo legale di Annamaria Franzoni, riuscì a ottenere la sua scarcerazione dal Riesame di Torino prima che lei decidesse di affidarsi all’avvocato Carlo Taormina. Richiamato per il ricorso in Cassazione dopo la condanna a sedici anni in Corte d’appello d’assise. Scriveva per La Stampa.