Il subdolo M5S e perchè opporsi è giusto

Mar 07, 18 Il subdolo M5S e perchè opporsi è giusto

Non riesco a spiegarmi come alcuni miei amici di sinistra possano provare curiosità per il M5S al punto da avere votato per loro. Il fenomeno è assai diffuso non solo per il clamoroso risultato che il Partito di Beppe Grillo, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista ha ottenuto in modo quasi omogeneo in tutta Italia, ma trovo quella scelta politicamente e culturalmente sbagliata e dannosa per l’Italia. Il mio punto di vista parte da un assunto: i partiti sono lo strumento di organizzazione della democrazia e il loro funzionamento è lo specchio di come vorranno far funzionale il Paese che governeranno. Ecco: per questo ritengo il M5S una forza neo eversiva, se vogliamo estremizzare criptofascista.

 

Il risultato delle elezioni impone una riflessione su cosa sia oggi il panorama politico nazionale (e anche locale) cercando di fare, per quanto mi riguarda, uno sforzo di interpretazione meno superficiale del fastidio per la vittoria di Lega e M5S. Ho buttato giù questi appunti sparsi che riguardano il partito di Grillo: non è un ragionamento compiuto… Ma avevo la necessità di scrivere. Se non altro per me.

* * *

Negli anni ’70 per escludere un partito su cui si era definita una “conventio ad excludendum” si inventò la necessità di trovare le convergenze tra le forze dell'”Arco Costituzionale”. Il MSI (anche in quel caso utilizzava fittiziamente la parola “Movimento” al posto di quella “Partito”) aveva un’altra caratteristica lessicalmente paragonabile al Movimento 5 Selle di oggi: la logica del “doppio petto”.

Almirante – appena divenuto segretario del MSI – operò un riassetto organizzativo e ideologico del partito che fu definito come la “politica del doppiopetto”, e che rimase sempre in bilico tra le rivendicazioni dell’eredità fascista e l’apertura al sistema politico italiano. Almirante riassunse così la sua strategia: «Il Msi non è totalitario ma ritiene lo Stato diverso e superiore al partito, non è nostalgico ma moderno, non è nazionalista ma europeista, non è conservatore-reazionario ma socialmente avanzato. »

Luigi Di Maio in questa campagna elettorale ha fatto un’operazione simmetrica: da una parte ha scatenato la creatività arruffona, greve e apparentemente popolana di Alessandro Di Battista e dall’altra ha puntato sulla sua capacità di mediazione, di governo, istituzionale. Il populismo quindi è apparso più annacquato ed anzi le promesse elettorali sono apparse soprattutto al Sud una medicina credibile e concreta alle malattie degenerative che riguardano il corpo di un terzo del nostro Paese.

Sul suo Buongiorno di ieri, Mattia Feltri, ha scovato questo grafico di Google Trends. Indica l’andamento della voce «reddito di cittadinanza» nell’ultima mese.

Detta facile, nella notte fra domenica e ieri (indicata da quei tre picchi tipo arrivo del tappone al Giro d’Italia) sono andati tutti su Google a cercare «reddito di cittadinanza». Si può ipotizzare un rafforzamento della teoria secondo cui agli italiani stanno più a cuore i loro diritti che i loro doveri, e più i loro interessi che i loro diritti. Oppure, meno maliziosamente, si può concedere che è perfettamente legittimo, anzi sacrosanto: è una promessa dei cinquestelle, vincitori delle elezioni, e gli elettori vogliono vedere che cosa gli spetta, nel dettaglio. C’è però un problema, e invitiamo Luigi Di Maio a prenderlo in considerazione. Se uno cerca «reddito di cittadinanza» esce che è un reddito distribuito a tutti i cittadini e cumulabile con altri redditi. Quello dei cinquestelle, invece, è un reddito di inclusione, molto rafforzato rispetto a quello già offerto dal Pd, e rivolto soltanto ai disoccupati. E c’è un altro problema, ancora più serio: il grafico mostra le aspettative; e le aspettative deluse, specie se mirabolanti, creano frustrazione e rabbia: le stesse che come tappeto rosso si sono srotolate sotto i piedi di Di Maio.

La parola d’ordine “Reddito di cittadinanza” ha sfondato, perchè come sostengono diversi miei amici nelle appassionate discussioni su facebook, le politiche che i governi di centro sinistra hanno condotto sono apparse fallimentari, e non consideerano che erano tra le poche compatibili con le risorse disponibili e – per quanto limitate – hanno prodotto degli effetti significativamente positivi. Ma quando un Paese attraversa la più grave crisi economica dalla Seconda Guerra Mondiale in qua è chiaro che non ci si può accontentare di quelli che le persone considerano pannicelli caldi. Nel profondo sud la classe politica al governo, ma anche un po’ Berlusconi, ha finito per essere definita con una frase di un film:

Era un modo particolare che avevamo qui di vivere con noi stessi: li facevamo a brandelli con una mitragliatrice, poi gli davamo un cerotto. (Il Capitano Benjamin L. Willard, narratore di Apocalypse Now)

 

Cripofascismo

Ma io sono d’accordo con una lettera – per altro, non è una parte della mia sensibilità, perchè è quella del collettivo Wu Ming – che in Piccola Storia Ignobile spedivano ai grillini qualche tempo fa: “Siamo convinti che il grillismo sia fondamentalmente un’ideologia e un racconto del mondo di destra […] Per noi il discorso di Grillo/Casaleggio è un mix di vari populismi e miti interclassisti, con fortissimi elementi di liberismo e addirittura di ideologia da destra «anarcocapitalista» statunitense. Su alcune tematiche, come quella dell’immigrazione, tanto dal blog di Grillo quanto da certi meandri del suo moVimento sono partiti enunciati addirittura criptofascisti”. Il fatto che il programma del M5S elenchi molti punti che sollecitano provvedimenti normalmente considerati «di sinistra» non solo non inficia le conclusioni del ragionamento, ma conferma la natura subdola di questa forza, tanto che è paradossale che “il M5S ha molti attivisti e moltissimi elettori che vengono da sinistra e tuttora si considerano di sinistra”.

Non voglio poi entrare nel merito ai metodi di vita interna che in quel partito vigono. Alle scatole cinesi che definiscono la proprietà del marchio del partito. Alla gestione dei data base. Al rapporto malato con la Casaleggio & Associati. Alla totale mancanza di democrazia interna. Allo sfregio alla Costituzione che è definito dai contratti sottoscritti con i candidati. Al metodo di linciaggio interno ed esterno. All’uso dei social come gogna. Queste forme sono in tutto e per tutto autoritarie, oscurantiste, violente, inaccettabili in una democrazia avanzata.

Accanto a questo poi c’è un disprezzo per la cultura di sinistra: da un partito fondato da un comico non ci si può meravigliare che tutto sia ridotto a caricatura. Gli intellettuali sono solo ricchi lontano dal mondo reale, meri frequentatori di salotti. Che ci siano “ragazzi che abbiano lavorato per pagarsi gli studi non è uno scenario contemplato”. Non è previsto che “un intellettuale possa essere un precario”.

Nonostante questo, i laureati hanno votato 5 Stelle. Va detto.

Nonostante questo, in parlamento nella scorsa legislatura, va dato atto a molti che hanno rappresentato quel partito di avere lavorato sodo sui dossier e di avere studiato in profondità sia le regole di funzionamento di quelle istituzioni, sia di avere elaborato una notevole mole di proposte di legge, tendenzialmente scritte bene. Non è poco.

Affinità e divergenze con il compagno Corbyn

Ma voglio sforzarmi di comprendere anche le letture “corbyniane” che molti miei vecchi compagni tentano di dare, giustificando la necessità di cercare un accordo con il M5S visto lo sfondamento elettorale che ha avuto con il voto del 4 marzo: se oltre 3 milioni di elettori votavano per il PD ed ora votano M5S – dicono – non possono essere diventati fascisti. E’ vero. Ma questo non significa che la natura ambigua di quel partito non possa rappresentare un pericolo meno incombente per la democrazia italiana.

Qualcuno dice che il M5S propone un programma di governo credibile e per questo è uscito dalla dimensione della protesta per diventare “la manifestazione del desiderio di farsi governo, la velleità di accreditarsi in quanto parte di un sistema fino a poco tempo fa combattuto”. Il populismo, dicono, non basta più per spiegare cosa è accaduto. Il piccolo capolavoro di Di Maio in questa campagna elettorale è quello di avere fatto sembrare normale il M5S. Per questo parlo di doppio petto. Lo spiegava bene Roberto Ciccarelli sul Manifesto del 5 marzo.

Che significa oggi essere normali? Avere più “Stato”, tornare al “lavoro”, indipendentemente dalla critica all’alienazione del lavoro.-merce. Il lavoro è lavoro: una tautologia da cui esce il magico coniglio della “dignità della persona”. Significa restaurare le condizioni del “baby boom” in cui sono cresciuti alcuni genitori, quelli del ceto medio più o meno benestante, da cui presumo venga lo stesso Di Maio. Desiderare tornare a essere normali significa vivere in una retrotopia: ovvero  il rimpianto dell’”età dell’oro” dove il contratto sociale sembrava esistere e, in cambio di ordine, disciplina e un salario a fine mese l’Italia dava la sensazione di avere una cittadinanza (riservata agli “italiani”), la certezza di un mutuo, le piccole felicità di una vita alienata.

Se da una parte “Di Maio rimpiange il paradosso di un individualismo sociale, l’Italia del capitalismo molecolare delle piccole imprese, del lavoro pubblico e della redistribuzione dall’alto”. Dall’altro i Cinque Stelle vogliono collocarsi “al centro di un sistema, tra Roma e le periferie abbandonate”, cercando di dare una voce agli esclusi di quella società rifondando i localismi politici e combattendo “l’alleanza tra la tecnocrazia europea e i grandi feudatari del potere nazionale” che hanno sostenuto l’ultima stagione delle riforme – a volte frettolose e pasticciate, ma che hanno raggiunto dei risultati – vissute dalla pancia del paese come “imposte dai governi “di larghe intese” dal 2011”. In questa lettura appunto c’è il piegare il ragionamento a quanto dice Corbyn in Uk.

Elettoralmente questo disegno di alleanza sociale ha funzionato. Si tratta di vedere se a “una crisi di sistema chi, come i cinque stelle, ha l’ambizione di farsi sistema” avrà i mezzi per affrontare la sfida. La ricetta – apprezzata anche da giovani intellettuali che stimo e che ritengo rilevanti nella definizione dell’idea di paese che la sinistra dovrebbe avere (ma che vedo davvero chiusi nella loro “torre d’avorio”) è ispirata a un “social-liberismo temperato” che fatica a uscire dal populismo. Mi pare che l’emblema di questa idea sia proprio la proposta del reddito di cittadinanza.

Questa lettura, da sinistra, imporrebbe – secondo ad esempio il governatore della Puglia Emiliano – la ricerca di convergenze tra Pd e M5S. Trovo questa posizione un’altra forma di populismo opportunista.

Ora?

“Quella dei Cinque Stelle è una vittoria cospicua, ma interlocutoria”. Io credo che si debba fare decantare un po’ il dolore della sconfitta e prendere il tempo necessario per non fare scelte dettate dalla pancia e non dal cervello. Torno a citare Mattia Feltri, che in questi giorni mi pare particolarmente brillante, che oggi ragiona su una conversazione tra Minniti e Francesco Merlo.

Marco Minniti cita Majakovskij: “La barca dell’amore si è schiantata contro l’esistenza quotidiana”. Bella. Ma questo mondo è sconfitto, ha aggiunto Minniti, chi ha letto Gramsci e Majakovskij è visto come un aristocratico del passato. Ecco, forse ci stiamo avvicinando. Va bene leggere Gramsci, va benissimo, ma le elezioni hanno evidenziato con definitiva chiarezza che il Novecento è finito. Non la Seconda repubblica, che è stata una confusa coda della Prima, ma il Novecento, con le sue tradizioni politiche di cui, con crescente sciatteria, Forza Italia e Pd sono stati gli eredi. Finite, morte, spazzate via. Oggi la dialettica non è fra destra e sinistra, come si dice da un po’, talvolta irrisi, ma fra globalismo e nazionalismo. Chi sta bene è globalista, chi sta male è nazionalista. Eppure noi tutti viviamo ogni secondo della nostra vita dentro un pianeta senza confini: acquistiamo le camicie su Amazon perché costano meno e ammazziamo il camiciaio che a sua volta legge le notizie su Facebook, e ammazza le edicole. E avanti così. E l’edicolante non si riciclerà come programmatore di software. Ci si impoverisce e ci si spaventa. Questo mondo nuovo, meraviglioso, inesplorato e drammaticamente spietato come lo si governa? La Lega risponde col protezionismo, i cinquestelle con l’assistenzialismo, e saranno follie. Ma la sinistra come risponde? Con Gramsci? Con Keynes? Con Majakovskij? Non è che semplicemente non lo sa e fa niente per saperlo?

Eccoci qui. E’ vero che il Novecento muore almeno una volta al mese da 18 anni, ma provo a fare una sintesi. Nel momento in cui io ritengo inaccettabile una collaborazione di governo con il M5S per una forza riformista e di sinistra come ha dimostrato di essere il PD in questi anni, d’altra parte vale anche la necessità di governare e di votare misure che possono rendere migliore la vita delle persone che soffrono, che possono aiutare le imprese a produrre lavoro e ricchezza, per “migliorare lo stato di cose esistenti”. Non è in Gramsci che potremo aggrapparci per trovare risposte. Ma in Gramsci potremo trovare un metodo di studio, un rigore intellettuale e morale che è completamente sparito nel gruppo dirigente di questi anni nel Partito Democratico.

Buoni giorni!

 

 

1 Comment

  1. fabrizio Pucci /

    Mi trovo d’accordo nel contenuto e nella forma.
    Sicuramente questa sinistra esce interamente sconfitta dalle elezioni (ne Potere al Popolo, ne LeU ne il PD possono minimamente pensare di avere meno perso le elezioni).
    Di fatto nessuna delle soluzioni proposte è risultata credibile.
    Serve quindi la capacità di confrontaci ma per farlo serve innanzitutto la capacità di ascoltarci.
    Continueremo a non avere nessuna proposta credibile se non impareremo a dialogare senza preconcetti e discutere, discutere, discutere perché certo una soluzione facile non esiste.